22 marzo - IV DOMENICA DI QUARESIMA - LAETARE (ANNO A)

El Greco: Guarigione del cieco nato (1573)

PRIMA LETTURA (1 Samuele 16,1.4.6-7.10-13)

In quei giorni, il Signore disse a Samuele: «Riempi d’olio il tuo corno e parti. Ti mando da Iesse il Betlemmita, perché mi sono scelto tra i suoi figli un re». Samuele fece quello che il Signore gli aveva comandato. Quando fu entrato, egli vide Eliàb e disse: «Certo, davanti al Signore sta il suo consacrato!». Il Signore replicò a Samuele: «Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore». Iesse fece passare davanti a Samuele i suoi sette figli e Samuele ripeté a Iesse: «Il Signore non ha scelto nessuno di questi». Samuele chiese a Iesse: «Sono qui tutti i giovani?». Rispose Iesse: «Rimane ancora il più piccolo, che ora sta a pascolare il gregge». Samuele disse a Iesse: «Manda a prenderlo, perché non ci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui». Lo mandò a chiamare e lo fece venire. Era fulvo, con begli occhi e bello di aspetto.
Disse il Signore: «Àlzati e ungilo: è lui!». Samuele prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi.

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 22)

Rit. Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.

Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.

Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.

Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.

SECONDA LETTURA (Efesìni 5,8-14)

Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità.

Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente. Di quanto viene fatto in segreto da [coloro che disobbediscono a Dio] è vergognoso perfino parlare, mentre tutte le cose apertamente condannate sono rivelate dalla luce: tutto quello che si manifesta è luce. Per questo è detto:

«Svégliati, tu che dormi,

risorgi dai morti

e Cristo ti illuminerà».

 

VANGELO (Giovanni 9,1-41)

 
In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».

Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.

Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».

In altre parole…

È bene avere presente che l’ascolto interiore di queste letture – ora che un ascolto dal vivo è sospeso – avviene comunque dentro una comunicazione in atto tra la voce di Dio che parla al cuore del suo Popolo e chiunque se ne fa uditore e interprete, se non altro come desiderio e attenzione. Diciamo che avviene dentro una prospettiva di fede, in atto o potenziale, che consente alla Parola di Dio per gli uomini di diventare parola umana. Forse vuol dire questo che la Parola di Dio va ascoltata “come chiesa”: come ascolto in quanto Popolo o in procinto di diventare nuovo Popolo di Dio. Essa non può rimanere senza effetto e senza frutto, come l’acqua e la neve che cadono dal cielo (cfr. Is 55,10).

 

Possiamo farci introdurre al racconto del cieco nato da queste poche parole ricavate e illustrate dalla prima lettura: “Perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore”. A vedere il cuore e non le apparenze ce lo dimostra e ce lo insegna senz’altro il Signore Gesù, che ne ha fatto la linea di demarcazione e di azione per tutta la sua vita. Lo abbiamo visto nell’incontro con la Samaritana al pozzo, ma ce ne dà conferma nella vicenda del cieco nato. I due partiti contrapposti che El Greco ci fa vedere nell’immagine ci dimostrano quanto sia difficile anche per lui tener fede a questa linea!

 

A raccontarci la vicenda è sempre l’evangelista Giovanni, interessato a cogliere l’intenzione e l’arte di Gesù di portare alla fede persone comuni della strada e a rivelarci personalità insospettate, che passerebbero inosservate ed esposte al disprezzo da parte di chi guarda le apparenze, come hanno dimostrato i discepoli di ritorno al pozzo e ora i farisei ostili. Il cieco che incontriamo oggi non è da meno della samaritana, e se questa arriva al Messia attraverso il dialogo sulla sete e sull’acqua, il nostro mendicante cieco se lo ritrova sulla strada dopo che ha riacquistato inaspettatamente la vista. E se alla donna Gesù dice “Sono io, che ti parlo”, paradossalmente dice al cieco “Lo hai visto: è colui che parla con te”.

 

E mentre la donna non fa parola ma lascia la brocca per correre a dirlo ad altri, l’ex cieco dice: «Credo, Signore!». È così che si manifestano le opere di Dio, per compiere le quali Gesù dice di essere stato mandato: per essere la luce del mondo che illumina ogni uomo! Non a caso abbiamo sotto gli occhi questi due testimoni venuti alla luce sulla scena del mondo e motivo di speranza per un’esistenza veramente nuova e luminosa! Sono proprio le opere di Dio che Gesù compie la risposta al quesito dei discepoli riguardo a quel cieco dalla nascita: se ne avesse lui la colpa o i suoi genitori, stando al modo di pensare della tradizione. Non che dovesse nascere cieco in funzione della gloria di Dio, ma nel senso che la gloria di Dio poteva e doveva manifestarsi anche nei suoi confronti.

 

Ecco allora Gesù passare subito all’azione, adottando metodi terapeutici tradizionali e chiedendo collaborazione al cieco, quasi a voler dissimulare la sua opera, ma al tempo stesso trasgredendo l’osservanza del sabato quando sputa per terra e fa del fango con la saliva. Dopo avergli spalmato gli occhi lo manda a lavarsi nella piscina dal nome allusivo di “inviato”, dalla quale il cieco torna che ci vede. Questa guarigione camuffata desta curiosità, interrogativi e discussioni, tanto che l’interessato deve intervenire più volte a dare spiegazioni di come sono andate le cose, ma quando gli chiedono dove fosse “l’uomo che si chiama Gesù” ciascuno era già andato per la propria strada come se nulla fosse successo.

 

Qualche facinoroso si fa un dovere di rovinare la festa e portare quel pover’uomo dai farisei per chiarire le cose a suo sfavore, perché era “un sabato il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi”. Secondo costoro era escluso che quel Gesù potesse compiere le opere di Dio in quanto peccatore, ma dal momento che i segni dicono il contrario, come è possibile che egli sia peccatore e non un profeta? La loro malafede mette in dubbio che fosse stato cieco e interpellano i suoi genitori, pur di arrivare a negare il fatto, ma questi per paura si guardano bene dal pronunciarsi

 

Tornano alla carica con l’uomo che era stato cieco per indurlo a sostenere la loro tesi, ma esponendosi al ridicolo e alla sua ironia, quando chiede se per caso avessero voluto diventare discepoli di quel Gesù, mandandoli su tutte le furie e mettendoli davanti al fatto: “Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla”. Lui il passaggio lo aveva fatto, ma per tutta risposta lo cacciano fuori dal tempio e lo scomunicano!

 

È quando Gesù torna in scena per portarlo completamente dalla sua parte, perché non basta che egli abbia riacquistato la vista, se al tempo stesso non diventa lui la luce nuova della sua vita con la fede, a cui peraltro era arrivato col cuore. Ed è quando quel mendicante cieco, dopo aver tenuto fede ai fatti contro i tranelli e le pressioni dei farisei, finalmente si prostra davanti a Gesù per riconoscerlo e onorarlo come il Figlio dell’uomo.

 

E così ci è dato di capire cosa intendesse per “opera di Dio” che si sarebbe dovuta manifestare anche in quell’uomo trovato sulla propria strada, prima ancora che il recupero della vista che ne è la controprova. In Gv 6,29 egli dice chiaramente: “Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato”. Questo è vederci in profondità oltre le apparenze e riacquistare la vista mediante la fede. E se, come abbiamo notato, alla samaritana Gesù dice “Sono io, che ti parlo”, al cieco precisa: “Lo hai visto: è colui che parla con te”.

 

Sono queste le opere che egli è mandato a compiere nel mondo come luce del mondo. Ma è chiaro che questa sua azione comporta un giudizio, quasi in ripresa di quanto Giovanni dice nel prologo: “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta” (Gv 1,4-5). Ed è anche per questo giudizio che egli è venuto in questo mondo, e precisamente “perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi“. Felice e terribile possibilità!

 

Quanto ci sarebbe da riflettere e da esaminarsi in proposito, per sapere se siamo tra quelli che vedono e che sanno, per cui non c’è spazio per l’imprevedibile opera di Dio e per chi è mandato a compierla, ostinandoci magari anche davanti all’evidenza dei fatti pur di mantenere posizioni acquisite; o se siamo tra quelli che vanno mendicando un po’ di luce della vita, pronti a coglierla e a riconoscere chi ce la può dare. A quei farisei che hanno orecchiato la sentenza di Gesù e chiedono se li considera ciechi, egli dà una risposta agghiacciante: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: ‘Noi vediamo’, il vostro peccato rimane”, quasi rispondendo alla domanda di partenza dei discepoli: essere nati nel peccato non è ritrovarsi ciechi e recuperare la vista, ma presumere di vederci chiusi nella propria sicurezza e chiudere gli occhi alla luce!

 

Se noi ci vediamo non è perché godiamo di luce propria e possiamo vantarcene, ma perché sappiamo di essere passati per dono dalle tenebre alla luce e siamo “luce nel Signore”, e di questo bisogna tenerne conto. Siamo “figli della luce” e dobbiamo camminare nella luce “in ogni bontà, giustizia e verità”, cercando di “capire ciò che è gradito al Signore”. Di fatto rimane aperta la lotta contro il potere delle tenebre in tutte le sue manifestazioni e c’è sempre da vegliare e pregare per non cadere in tentazione e addormentarsi. Per questo arrivano opportune anche a noi le parole di origine liturgica delle prime comunità cristiane: “Svegliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà”.

 

Questo invito a svegliarci, risorgere e lasciarsi illuminare da Cristo è sempre più forte in questi nostri giorni bui e incerti, in cui è bene abbandonare la sicurezza di vedere e gestire quanto sta effettivamente succedendo, per rimanere aperti a quanto realmente questi “segni dei tempi” vogliono dirci e farci capire per il nostro futuro. Ma non sarebbe bastata la Pasqua a questo scopo?

 

Possiamo chiederci se la risposta di Gesù alla domanda dei discepoli, sulla responsabilità personale o familiare per essere nato cieco, ci dica qualcosa riguardo a quanto stiamo soffrendo: questo dipende molto da come vengono recepite le sue parole. Ma è innegabile che per lui la questione non è di colpevolezza o di castigo divino, quanto piuttosto il fatto che in tutto questo “siano manifestate le opere di Dio”: si compia cioè il suo disegno di salvezza e si aprano i nostri occhi “alla luce della vita” (Gv 8,12). Non sarebbe poco, al di là di mistificazioni e accaparramenti devozionali: Cristo ci illuminerà! Ricordiamocelo quando nella veglia di Pasqua si spera di poter sentire declamare col cero acceso: Cristo luce del mondo, rispondendo “Grazie a Dio”. (ABS)


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