30 aprile 2023 -  IV DOMENICA DI PASQUA (ANNO A)


Lucas Cranach il Vecchio: Cristo come buon pastore (1540/50 ca.)

Erfurt (Germania), Angermuseum

 

PRIMA LETTURA (Atti degli Apostoli 2,14.36-41)

[Nel giorno di Pentecoste,] Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò così: «Sappia con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso».

All’udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?».

E Pietro disse loro: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo. Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro».

Con molte altre parole rendeva testimonianza e li esortava: «Salvatevi da questa generazione perversa!». Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone.

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 22)


Rit. Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.

 

Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.

Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.

Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.

 

SECONDA LETTURA (1 Pietro 2,20b-25)

Carissimi, se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, perché

anche Cristo patì per voi,
lasciandovi un esempio,
perché ne seguiate le orme:
egli non commise peccato
e non si trovò inganno sulla sua bocca;
insultato, non rispondeva con insulti,
maltrattato, non minacciava vendetta,
ma si affidava a colui che giudica con giustizia.

Egli portò i nostri peccati nel suo corpo
sul legno della croce, perché,
non vivendo più per il peccato,
vivessimo per la giustizia;
dalle sue piaghe siete stati guariti.

Eravate erranti come pecore,
ma ora siete stati ricondotti al pastore
e custode delle vostre anime.


VANGELO (Giovanni 10,1-10)

In quel tempo, Gesù disse:

«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.

Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».

Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.

Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.

Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

 

 

In altre parole…

 

Nel linguaggio immaginifico di Papa Francesco, abbiamo sentito dire che un pastore che sia tale deve avere lo stesso odore e sentore delle pecore. Nel suo linguaggio più istituzionale ha ripetuto e scritto che è necessaria una “conversione pastorale”: un rapporto tra gregge e pastori che non sia più soltanto regolato dall’alto e da norme, ma dia valore al discernimento della base come soggetto informato e responsabile sia dell’azione liturgica come dell’annuncio evangelico. Le diffuse operazioni sinodali in corso che dovrebbero colmare questa lacuna, in realtà forse non fanno che evidenziarla, e non sarebbe male chiedersi se e quanto future soluzioni normative possano rimediare ad una carenza di vitalità intrinseca!

 

Come se niente fosse, noi siamo soliti guardare al “Buon pastore” con sentimento rassicurante, senza entrare nel dramma di questa figura evangelica e senza dare peso alle vicende reali che l’impegno pastorale comporta anche oggi: il rapporto pastore-gregge è un po’ come l’ago della bilancia della vita ecclesiale e una modificazione su questo punto è quanto necessita per una revisione dell’intero organismo. A partire da questa consapevolezza, possiamo leggere le parole di Gesù che ci riporta alla realtà, e così interpretare il discorso figurato nel quale lascia intravedere se stesso e il suo rapporto con noi. È chiaro che nel vangelo di Giovanni siamo in regime post-pasquale di resurrezione e ci viene detto come stanno e come vanno le cose nella nuova comunità ricostituita dal Risorto, quella nata secondo lo Spirito e guidata da lui.

 

Egli parte da una semplice costatazione di fatto, e cioè dalla differenza che c’è tra il pastore che entra nel recinto delle pecore regolarmente dalla porta e chi invece vi si introduce da un'altra parte come “ladro e brigante”. A parte ruoli e ministeri prestabiliti, è importante sapere come ci si introduce e come si vive la propria relazione al gregge: se come presenza familiare e voce riconosciuta o come irruzione e ”voce di estranei”: non bastano cioè l’ufficialità o la pura e semplice dipendenza a creare unità di gregge, e forse sarebbe il caso di riconoscere l’esistenza di tanta estraneità o ipocrisia derivanti proprio dai rapporti formali. Un pastore che chiama per nome le pecore del gregge e un gregge che riconosca e accrediti la voce del pastore è sempre un bel sogno in tutti gli ambiti in cui ci sia unità feconda da creare e non solo conformismo di conservazione da assicurare. Niente di peggio che fare appello ad una unità corporativa quando è compromessa l’unità dello spirito!

Questo pastore che entra dalla porta, e a cui il guardiano apre senza problemi, fa pensare naturalmente al Cristo risorto, “pastore e guardiano delle vostre anime” (1Pt 2,25). Ma quando Gesù interviene di nuovo per far capire ai discepoli di che cosa parlava loro, fa forse una precisazione utile anche per noi, che col senno di poi pensiamo di aver compreso bene il suo discorso, guardando appunto a lui come al pastore buono. In realtà egli si presenta dicendo “io sono la porta delle pecore”, figura a noi meno familiare, salvo eventi eccezionali come l’Anno santo, ma significativa del rapporto costitutivo tra noi e lui: egli è colui che entra nel recinto per la porta giusta  e nella maniera dovuta e si fa porta lui stesso per avere ascolto e seguito dal gregge. Infatti coloro che sono venuti prima di lui, sono quei ladri e briganti entrati da altre parti, ad esclusione di quanti hanno fatto profeticamente riferimento a lui, come colui che sarebbe venuto a salvare e liberare il gregge.

Comunque le si vogliano interpretare, parole più esplicite e insistite di queste non ci potrebbero essere: “In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore... Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo”. Verrebbe da pensare a quante variazioni su questo tema potremmo incontrare nei vangeli in contesti diversi, ma a finalità unica! E la finalità di fondo è quella stessa per cui quel Gesù costituito da Dio Signore e Cristo è entrato in questo mondo e nella nostra storia: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Non come un ladro e un usurpatore, o come il mercenario che abbandona il gregge se vede venire il lupo, ma come colui che “offre la vita per le pecore”. È soltanto a questo punto e per questo motivo che potrà dire quello che tutti sappiamo e ripetiamo: “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore” (Gv 14-15). Dove il rapporto tra lui e il gregge dovrebbe per quanto possibile  ricalcare la conoscenza che egli ha del Padre e che il Padre ha di lui. C’è qualcosa di più sconvolgente? Ma è forse per questo che diamo poco peso a questa chance!

Per cercare di capire come questa corrente di vita e di verità arrivi a noi, ecco ancora una volta Pietro, uscito con gli Undici in piazza, stare in piedi  e dire a tutta la casa di Israele che “Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso”. Certamente c’è molto coraggio, ma anche tanta cruda verità, tant’è che quanti sentivano trafiggersi il cuore da queste parole sono lì a chiedere: “Che cosa dobbiamo fare, fratelli?”. Non c’era condanna di “deicidio”, ma semplicemente fare presente che quell’uomo Gesù, consegnato a loro “secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio”, fu “inchiodato sulla croce per mano di empi e l'avete ucciso” (At 2,23). È il pastore che si fa “agnello di Dio”, se non abbiamo paura delle parole spesso malintese.

Sembra insomma che conti meno come siano andate le cose, rispetto alle conseguenze da accettare, perché si realizzi la promessa fatta alla casa di Israele, ma che è anche “per i figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro”: è questa la prospettiva veramente aperta da tener presente quando la richiesta è di conversione e battesimo nel nome di Gesù Cristo, da cui derivano indiscriminatamente perdono dei peccati e dono dello Spirito Santo. È così che ci si salva “da questa generazione perversa”: a noi questi sembrano termini troppo crudi ed eccessivi, ma tutto dipende da come accogliamo la parola e la testimonianza degli Apostoli, se nella sua differenza radicale o secondo le nostre mezze misure.

Ma ecco ancora Pietro a riportarci sulle orme di Cristo, che ci ha lasciato esempio di pazienza e di sofferenza perché possiamo rispondere a nostra volta alla chiamata, che è quella di “fare il bene”: a vivere non più come figli di una generazione perversa, ma per la giustizia, e cioè alla maniera di Cristo, dalle cui piaghe siamo stati guariti. Che questo paradosso diventi significativo e indicativo, per affidarci al pastore e guardiano delle nostre anime. (ABS)


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