30
gennaio 2022 - IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO
C)
Raffaello Sanzio: Carità (1507)
Roma, Pinacoteca vaticana
PRIMA LETTURA (Geremia 1,4-5.17-19)
Nei
giorni del re Giosìa, mi fu rivolta questa parola del Signore:
«Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto,
prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato;
ti ho stabilito profeta delle nazioni.
Tu, dunque, stringi la veste ai fianchi,
àlzati e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò;
non spaventarti di fronte a loro,
altrimenti sarò io a farti paura davanti a loro.
Ed ecco, oggi io faccio di te
come una città fortificata,
una colonna di ferro
e un muro di bronzo
contro tutto il paese,
contro i re di Giuda e i suoi capi,
contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese.
Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno,
perché io sono con te per salvarti».
SALMO RESPONSORIALE (Salmo 70)
Rit. La mia bocca,
Signore, racconterà la tua salvezza.
In
te, Signore, mi sono rifugiato,
mai sarò deluso.
Per la tua giustizia, liberami e difendimi,
tendi a me il tuo orecchio e salvami.
Sii tu la mia roccia,
una dimora sempre accessibile;
hai deciso di darmi salvezza:
davvero mia rupe e mia fortezza tu sei!
Mio Dio, liberami dalle mani del malvagio.
Sei tu, mio Signore, la mia speranza,
la mia fiducia, Signore, fin dalla mia giovinezza.
Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno,
dal seno di mia madre sei tu il mio sostegno.
La mia bocca racconterà la tua giustizia,
ogni giorno la tua salvezza.
Fin dalla giovinezza, o Dio, mi hai istruito
e oggi ancora proclamo le tue meraviglie.
SECONDA LETTURA (1Corinzi
12,31-13,13)
Fratelli, desiderate intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime.
Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.
E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla.
E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo, per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe.
La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino.
Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!
VANGELO (Luca 4,21-30)
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
In altre parole…
L’uso
indiscriminato
ormai invalso dell’espressione “Popolo di Dio” per dire chiesa
non manca di qualche insidia. A parte l’appiattimento anagrafico
e lo svuotamento sociologico, porta a credere che
automaticamente siamo anche Popolo messianico, sacerdotale e
profetico, come sarebbe giusto che fosse. Per cui si dimentica
facilmente che siamo semplicemente chiamati a diventarlo per
azione di Grazia e alla luce dei segni dei tempi nella storia. È
necessario avere presente come tutto questo possa avvenire,
ricordando che san Paolo ci ricordava di essere allo stesso
tempo “corpo di Cristo, ognuno secondo la propria parte, sue
membra”. “Popolo di Dio“ e “Corpo di Cristo” evidenziano
rispettivamente l’unità di comunione e l’organicità delle azioni
della Chiesa. Trovare una giusta coordinazione tra queste due
dimensioni è troppo importante per una sana coscienza di chiesa!
Da
questo
punto di vista ancora Paolo chiedeva: “Sono forse tutti apostoli? Tutti
profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? Tutti possiedono
il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le
interpretano?”. C’è bisogno di una differenziazione e
integrazione interna, per cui l’unico Popolo di Dio è
messianico, è sacerdotale ed è profetico come Corpo di Cristo
secondo la funzione delle diverse membra. Ed allora c’è da
rendersi conto di come possa diventare profetico attraverso
quanti sono chiamati ad esprimere ed esercitare questo suo
carisma. Ci è dato comprenderlo attraverso la vocazione di
Geremia, tipica di ogni vocazione profetica che si rinnova nel
tempo.
È
una chiamata che avviene fin dal seno materno prima ancora di
venire alla luce, per essere consacrato ad essere profeta delle
nazioni, e quindi per il mondo e per la storia degli uomini.
Qualcosa che segna da subito e per sempre. La disponibilità del
profeta deve essere pronta e totale, col coraggio di dire quanto
gli sarà ordinato senza avere paura di nessuno se non del suo
stesso Dio che gli parla. Destinato a portare questa parola alle
nazioni, egli deve sapere da subito che va allo scontro con
tutte le forze del sistema costituito, che gli faranno guerra
subdola e spietata. Ma al tempo stesso con la certezza nel cuore
che non vinceranno, perché quella che pronunzia e che comunica è
Parola di Dio e non propria. Possiamo dire che questa sia la
coscienza profetica della chiesa per noi?
Possiamo
e
dobbiamo comunque dire che se c’è qualcuno al mondo che incarna
questa vocazione per l’umanità intera è la stessa Parola fatta
carne, che le tenebre non hanno vinto ma che va incontro al
rifiuto e rinnegamento dei suoi. L’episodio della sinagoga di
Nazaret ne è solo una riprova: “Oggi si è compiuta questa
Scrittura che voi avete ascoltato”. E questo fa scandalo, come
sarà scandalo la “Parola delle croce”: il motivo dello scandalo,
in questo caso, sta nel fatto che egli si proclama apertamente
come colui in cui l’annuncio della buona novella ai poveri
arriva a compimento, ed è inaugurato l’anno di grazia del
Signore. Erano innegabilmente parole di grazia che uscivano
dalla sua bocca e arrivavano agli orecchi di tutti nella
sinagoga, ma per essi non era possibile che il modesto figlio di
Giuseppe potesse avanzare tale pretesa messianica!
Gesù
però
non recede e replica apertamente, come se si fosse sentito dire
di curare se stesso piuttosto che preoccuparsi degli altri, o di
fare anche per i suoi concittadini quello che faceva altrove,
peraltro con esiti diversi. Di qui la sua affermazione divenuta
proverbiale: “In verità io vi dico: nessun profeta è bene
accetto nella sua patria”. Bisognerebbe che la Parola di Dio
mantenesse la sua assoluta originalità e forza e non venisse
mescolata e confusa con la povertà e impotenza con cui arriva a
noi come parola “fatta carne”. Non è possibile che la Parola di
Dio si rivesta di questi miseri panni e arrivi a noi per bocca
di qualcuno come noi. Preferiamo vederla scritta nel rotolo e
ascoltarla per il prurito spirituale dei nostri orecchi!
Non
bastano
i richiami scritturistici ad Elia e alla vedova di Sarepta, al
lebbroso siro Naaman purificato al tempo del profeta Eliseo, per
convincere quegli abituali ascoltatori della sinagoga della
pochezza in cui avviene l’opera profetica di Dio. Ma proprio
ritrovarsi messi davanti all’evidenza dei fatti, non fa che
accrescere lo sdegno di tutti, che non pensano ad altro che a
disfarsi di lui, che li ha messi con le spalle al muro e che ha
la forza di sfidarli passando in mezzo a loro e andandosene per
la sua strada! Anche questo è un comportamento profetico!
Non
è
un semplice episodio edificante, ma un segno rivelativo di una
esistenza profetica dove la profezia diventa martirio. Forse
siamo portati a pensare che tutto ci superi e non ci tocchii, ma
la questione è se e come siamo servi e ascoltatori della Parola
di Dio: se questa non sia inflazionata e contraffatta. Possiamo
esaminarci alla luce di queste parole: “Noi non siamo come quei
molti che mercanteggiano la parola di Dio, ma con sincerità e
come mossi da Dio, sotto il suo sguardo, noi parliamo in Cristo”
(2Cor 2,17). E ancora: “Avendo ricevuto da noi la parola divina
della predicazione, l'avete accolta non quale parola di uomini,
ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che
credete” (1Ts 2,13). Se avessimo il coraggio di dircelo, ad
essere chiamata in causa sarebbe quindi la “predicazione” nel
suo ruolo e nella sua qualità, perché la profezia passa
principalmente attraverso “la stoltezza della
predicazione”.
Ma
parlando
di profezia e di Popolo profetico c’è da dire che vale anche qui
quanto la lettera ai Corinzi dice dei vari carismi e
manifestazioni dello Spirito come funzioni vitali del Corpo di
Cristo che dovrebbero emergere e coordinarsi nella vita di una
comunità: e cioè il fatto che, se anche queste funzioni fossero
espresse al massimo singolarmente, sarebbero a zero quando non
fossero veicolo di carità, e cioè di linfa vitale per tutto il
corpo, tensione e passione unificante. Sì, rimane vero che
nessuno è profeta in patria e non c’è da aspettarsi che un
popolo o una comunità siano profetici, ma questo è da mettere in
conto, e forse è quando la parola profetica oltrepassa i limiti
domestici.
È
detto chiaramente che “se avessi il dono della profezia, se
conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se
possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi
la carità, non sarei nulla”. Se anche fossi oro, ma non si
amalgamasse con l’insieme, non servirebbe a nulla. Ma perché
questo possa avvenire è necessario che la carità – la generosità
e la gratuità fraterna - vivifichi e regoli i comportamenti e i
rapporti umani in tutti i campi, superando se stessi.
Tutto
si
gioca nella provvisorietà e nella limitatezza – “Le profezie
scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza
svanirà” – ma “la carità non avrà mai fine”. È ciò che rimane,
perché è ciò che ci avvicina e ci rende simili a Dio che è amore
e che fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi. Il
frequente appello che viene fatto alla carità come solidarietà,
altruismo, prendersi cura dell’altro non deve essere inteso come
una scorciatoia che dispensa da tutto il resto, ma come il
compimento in pienezza di quanto la nostra esistenza nel mondo
comporta per edificarci in autentico Popolo di Dio. E forse
bisognerebbe stare attenti a non inflazionare la Parola di Dio e
rapportarci e riportarci ad essa come alla potenza di Dio per la
salvezza di ogni credente. Ciò richiede che ci sia sì di
scandalo, ma che questo scandalo non prevalga! (ABS)