8 marzo 2020 - II DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO A)

Beato Angelico: Trasfigurazione (1438-1440)

 

 

PRIMA LETTURA (Genesi 12,1-4)

 

In quei giorni, il Signore disse ad Abram:
«Vàttene dalla tua terra,
dalla tua parentela
e dalla casa di tuo padre,
verso la terra che io ti indicherò.
Farò di te una grande nazione
e ti benedirò,
renderò grande il tuo nome
e possa tu essere una benedizione.
Benedirò coloro che ti benediranno
e coloro che ti malediranno maledirò,
e in te si diranno benedette
tutte le famiglie della terra».
Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore.


SALMO RESPONSORIALE (Salmo 32)


Rit. Donaci, Signore, il tuo amore: in te speriamo.

 

Retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto;
dell’amore del Signore è piena la terra.

Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.

L’anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo.

 

SECONDA LETTURA (2Timoteo 1,8b-10)


Figlio mio, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo. Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia. Questa ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma è stata rivelata ora, con la manifestazione del salvatore nostro Cristo Gesù. Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo.



VANGELO (Matteo 17,1-9)

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.

Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».

All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.

Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».



In altre parole…

 

Posso dirvi che quando mi accingo a scrivere queste parole il pensiero va prima di tutto a voi, presenti per quanto possibile ma probabili interlocutori. E allora mi chiedo che tipo di discorso può essere il mio, da condividere con voi a partire dalla Scrittura. Non una dotta spiegazione esegetica, non un approfondimento teologico, non una “lectio divina”, ma neanche una vera e propria omelia, che richiederebbero condizioni e attitudini specifiche. È invece un semplice comune ascolto insieme strada facendo, nella sequela di Cristo e nel desiderio di diventare discepoli da cristiani nati e più o meno praticanti. Qualcosa che io dico ha l’unico scopo di sintonizzarci con le risonanze che la Parola di Dio suscita in ciascuno, in modo che crei in noi un cuor solo e un’anima sola! In questo senso credo di poter dire che le mie parole sono solo l’inizio o la miccia per arrivare insieme a dire: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?” (Lc 24,32).

 

Abbiamo parlato o sentito parlare spesso, da un po’ di tempo a questa parte, di “cambiamento d’epoca”, di “chiesa in uscita”, di “conversione pastorale”, di “conversione missionaria”, di sinodalità. Per quanto tutte queste formule possano essere discutibili, hanno un denominatore comune e dicono: esodo, abbandono, partenza verso nuova terra e cieli nuovi, che ci saranno indicati. Non è che la vocazione di Abramo che si rinnova per tutti i credenti perché diventino grande nazione di cui egli sarà Padre. È la vocazione del Popolo di Dio, perché possa essere di benedizione per tutti i popoli.

 

Non è solo qualcosa che si consuma interiormente come fatto spirituale, rimanendo però insediati e abbarbicati sul terreno delle tradizioni, delle abitudini, delle sicurezze, per farne il tabernacolo di un Dio a nostra immagine e somiglianza. Mentre è proprio il Signore a dirci perentoriamente “vattene”: ad andarsene dal proprio ambiente familiare e dal conformismo di rapporti standardizzati e sacralizzati! Non è un caso che i processi storici in atto e la stessa parola del papa ci abbiano indotti ad individuare la terra da cui uscire in quella della “cristianità”, e cioè di una fede cristiana realizzata nel tempo e nello spazio in istituzioni e forme che sono come otri vecchi. Certo, si vorrebbe subito un’altra terra pronta ad accoglierci, ma sappiamo che è un cammino che ci farà incontrare coloro che ci benediranno e coloro che ci malediranno. Ma il punto di forza è che ad ordinarci di partire è il Signore, ed a noi non rimane che esulare.

 

Potremmo dire che è stata la voce del Signore a spingere Abramo, ma possiamo pensare che siano state anche la situazione e le circostanze a fargli sentire l’urgenza di questa voce e a farne il pioniere e il padre dei credenti per i secoli. Ma è chiaro che ormai la chiamata per noi è quella di Gesù a lasciare tutto e seguirlo, al di là di ogni mistificazione istituzionale o di categoria (vedi “vita religiosa”). E quello che vivono i suoi immediati discepoli ed apostoli non è che la traccia di quanto siamo invitati a vivere anche noi. In questo caso, Pietro ha fatto la sua confessione riconoscendolo come il Cristo, dopo di che Gesù dichiara di avviarsi decisamente nel cammino riservato al Figlio dell’uomo e “Servo di Dio”, la morte, dicendo ai suoi senza mezzi termini “se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.

 

È a questo punto che si situa la “Trasfigurazione”, di cui ci parla il passo del vangelo, e che è sorprendentemente raffigurata dal Beato Angelico come sintesi meravigliosa della storia della salvezza tra passato con Elia e Mosè, presente con Maria e i tre apostoli, futuro con la presenza di S.Domenico: c’è la manifestazione, visione e presa di coscienza del mistero di Cristo, con l’inevitabile fraintendimento di Pietro. C’è come un passaggio di consegne tra “Legge e Profeti”, rappresentati da Mosè ed Elia, e “Grazia e verità” che si incarnano in Gesù!

 

Ancora una volta, come già al momento del Battesimo nel Giordano, la voce dalla nube luminosa sancisce questo passaggio con la presentazione del Figlio, “l’amato”. Se prima erano estasiati, all’udire questa voce potente i discepoli crollano a terra, tanto che devono essere spinti a rialzarsi e a stare tranquilli. È a quel punto che non vedono “se non Gesù solo”, quale voce del Padre da ascoltare. Mentre viene rinnovato loro l’ordine di non parlare a nessuno di questa loro esperienza, cosa che Pietro farà in seguito in 1,16-21 della sua prima lettera.

 

Se davvero dobbiamo ripercorrere l’esperienza dei discepoli, non possiamo più intendere la nostra fede in maniera statica e indifferenziata, ma la dobbiamo vivere in maniera dinamica e personalizzata in tutti i suoi passaggi, per poterne rendere ragione. Si tratta del nostro rapporto con Gesù e della nostra adesione a lui. Così possiamo confessarlo come Cristo Figlio del Dio vivente come Pietro, ma questo non basta per non sentirsi apostrofare come satana che la pensa alla maniera degli uomini e non secondo Dio; ci viene detto sempre più apertamente qual è il cammino del Figlio dell’uomo in cui seguirlo fino a prendere la propria croce e rinnegare se stessi.

 

Siamo portati sul monte a sperimentare la sua gloria come assaggio “prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti”, ma questo non basterà per non abbandonarlo e rinnegarlo! Quando si dice che la fede è un dono è cosa vera, ma non è un talento da sotterrare per poterlo riconsegnare: è quanto ci viene offerto dell’amore del Padre nella comunione con Cristo, qualcosa di sofferto a caro prezzo, se davvero dobbiamo renderne ragione e passare ad altri il testimone. Ci viene insegnata riservatezza e discrezione riguardo alla comunicazione della fede, se questa non è matura e compiuta ma solo entusiasmo e infatuazione. Se siamo chiamati a seguire Cristo non è per rispondere ad un sistema religioso o a una dottrina spirituale, ma è partecipazione al mistero della sua tentazione e morte, solidarietà alla sua lotta prima che alla vittoria.

Per la verità, da qualche tempo siamo portati a parlare della gioia e della bellezza del vangelo in termini trionfalistici e risolutivi, quando tutto intorno ci dice il contrario. Dimentichiamo che la gioia è solo il momento conclusivo di un travaglio: “La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo” (Gv 16,21). Non sembra che risponda a simile esperienza la nostra opera di evangelizzazione, ridotta a tecnica pastorale di conservazione o a mobilitazione di riconquista, mentre dovrebbe essere passione di fecondità, sapendo bene “che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo” (Rom 8,22-23).

E allora si capiscono le parole di san Paolo, quando ci dice: “Figlio mio, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo”. Perché vada in porto la nostra partecipazione al progetto di salvezza e di grazia preparato per noi indipendentemente dalle nostre opere. È un progetto e dono di grazia previsto dall’eternità, ma che si realizza nel tempo con la “manifestazione del salvatore nostro Cristo Gesù”. Se il vangelo è il mezzo con cui egli fa risplendere la vita è perché prima di tutto ha vinto la morte! Non si tratta solo di una informazione indolore e asettica di un fatto lontano ed estraneo, ma è passione sofferta di salvezza per un mondo che geme e soffre nelle doglie del parto mentre noi stessi aspettiamo l’adozione a figli. È questa la vocazione santa a cui siamo chiamati a partecipare per grazia, prima ancora di quanto vogliamo e possiamo fare noi, perché tutto avviene per noi “in Cristo”! E allora sentirsi dire “vattene” ci può sconcertare, ma al tempo stesso è dono  di coraggio e di liberazione!

Un’ultima annotazione: queste parole vi arrivano da un Convento in cui si trova l’affresco di un crocifisso dell’Angelico che lascia trasparire la gloria del Risorto. Se invece guardiamo ancora una volta l’immagine della sua trasfigurazione, è come se intravedessimo già il crocifisso: è il mistero della fede, “Cristo in voi, speranza della gloria” (Col 1,27). Ma forse non è propriamente questa la nostra percezione e prospettiva di vita cristiana! (ABS)


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