24 aprile 2022 - II DOMENICA DI PASQUA o della Divina Misericordia (ANNO C)

Silvestro Lega: L’incredulità di san Tommaso (1851 circa)

Modigliana (Forlì-Cesena), Pinacoteca Comunale Silvestro Lega

 

PRIMA LETTURA (Atti 5,12-16)

Molti segni e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; nessuno degli altri osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava.

Sempre più, però, venivano aggiunti credenti al Signore, una moltitudine di uomini e di donne, tanto che portavano gli ammalati persino nelle piazze, ponendoli su lettucci e barelle, perché, quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro.

Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti impuri, e tutti venivano guariti.

 

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 117)

Rit. Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre.

 

Dica Israele:
«Il suo amore è per sempre».
Dica la casa di Aronne:
«Il suo amore è per sempre».
Dicano quelli che temono il Signore:
«Il suo amore è per sempre».

La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
Questo è il giorno che ha fatto il Signore:
rallegriamoci in esso ed esultiamo!

Ti preghiamo, Signore: Dona la salvezza!
Ti preghiamo, Signore: Dona la vittoria!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Vi benediciamo dalla casa del Signore.
Il Signore è Dio, egli ci illumina.

 

 

SECONDA LETTURA (Apocalisse 1,9-11.12-13.17-19)

Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù.

Fui preso dallo Spirito nel giorno del Signore e udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: «Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese».

Mi voltai per vedere la voce che parlava con me, e appena voltato vidi sette candelabri d’oro e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un Figlio d’uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d’oro.

Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la sua destra, disse:

«Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi. Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito».



VANGELO (Giovanni 20,19-31)

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.

Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

 

 

In altre parole…

 

La prospettiva in cui muoversi nella nostra “liturgia della Parola” in diaspora è l’auspicato compimento della rivoluzione copernicana pronosticata dal Vaticano II sempre da compiersi. Rimane questo, a costo di ritrovarsi sorpassati, il faro per la nostra navigazione di Popolo di Dio, che è in sostanza la rinascita e la predicazione della fede, quanto di più elementare ci sia da fare. Eccoci quindi a ripercorrere l’itinerario dei discepoli delusi e presi dalla paura, in un giorno - il primo della settimana - carico di emozioni, di incertezze, di delusioni, di interrogativi, di sfide. C’era stata la scoperta del sepolcro vuoto, l’incontro di Maria col Risorto, il racconto dei due di Emmaus. Ma soprattutto c’è il fatto che nonostante le porte sbarrate “venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: Pace a voi!”. Saluto rassicurante e riconciliante!

 

Sì, ai loro occhi si presenta Gesù il crocifisso, e a quella vista non possono fare altro che gioire. Per la verità, non è difficile riconoscerci in loro, con le nostre paure, le nostre chiusure o sicurezze; forse ci manca il giusto turbamento e il desiderio di vedere evolversi le situazioni secondo il loro corso. Forse ci contentiamo che in qualche modo il Signore sia con noi in maniera definitiva. Ma ciò non impedisce a Gesù di sorprenderci e di presentarsi in mezzo a noi, per scuoterci ma soprattutto per rinfrancarci col suo rinnovato saluto di pace. Non solo, ma anche per farci le sue consegne, che sono quelle di portare al mondo la sua pace alla sua maniera. Infatti come il Padre ha mandato lui a questo scopo, così egli osa mandare noi, infondendoci il suo spirito, perché questa pace sia raggiunta col perdono dei peccati.  

 

Per la verità, ci rimane difficile collegare pace con “perdono dei peccati”, qualcosa tutto da comprendere. Ma intanto è questa la finalità da raggiungere con la predicazione del vangelo per fare discepole tutte le genti. Sappiamo perfettamente che è qui il nucleo vitale della fede cristiana, ma sappiamo altrettanto chiaramente che non è questa l’anima della prassi ecclesiale e della vita cristiana così come le abbiamo ereditate, salvo restando che è pur sempre questa la carta da giocare in un sistema comunque aperto e significativo per ogni coscienza umana disposta a condividerlo nella fede. In questo senso c’è tanto da riattivare e da mettere a punto come rinnovata consapevolezza e come ministero, perché Dio “ha messo in noi la parola della riconciliazione” (2Cor 5,19). Accettiamo pure le situazioni come sono, ma non possono non farci interrogare: non ci dice nulla il fatto che una volta c’era la fila ai confessionali per Pasqua e che ora sono deserti? È solo da revisionare il sacramento della penitenza o questo rientra nel ripensamento globale da fare per l’annuncio e lo stato della fede nel mondo, in generale ma poi anche localmente?

 

In questa ricerca del senso della fede possiamo ispirarci a Tommaso detto Didimo, e non contentarci di chi ci dice “abbiamo visto il Signore”, ma lanciare a nostra volta la sfida di voler toccare con mano, di avere qualche segno per credere. Magari avessimo questo coraggio! D’altra parte, Tommaso non chiede altro che quanto Gesù aveva mostrato nel suo primo apparire in mezzo a loro mostrando “le mani e il fianco”. Non è che gli altri non avessero dubitato o avuto le loro perplessità, ma è Tommaso che viene allo scoperto e in qualche modo si fa voce di tutti loro e di noi tutti davanti ad affermazioni quasi d’ufficio, ma prive di quel pathos che nasce dal cuore e arriva al cuore. Con quale e quanta convinzione i discepoli gli avranno comunicato di aver visto il Signore, senza dire che avevano visto anche le sue piaghe e senza minimamente parlare del Signore Risorto? Viene da chiedersi se in tanti nostri discorsi è la fede a parlare o siamo noi a parlare della fede a nostro piacimento.

 

Possiamo ipotizzare che sia stata proprio questa situazione di incertezza generale e di paura - tanto è vero che dopo otto giorni quei discepoli erano sempre lì a porte chiuse - a indurre Gesù a replicare la sua visita e riportare tutti ad una fede più convinta proprio attraverso la esplicita confessione di Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. E questo dopo che era stato rassicurato da Gesù che ad essere lì presente sotto i suoi occhi era veramente il crocifisso e non un fantasma. L’invito e il desiderio di Gesù nei suoi e nei loro riguardi era di non andare verso l’incredulità ma di diventare credenti. D’altra parte, per essere testimoni accreditati secondo il mandato ricevuto, bisognava che tutti potessero dire di aver visto. Gli altri saranno beati nel credere pur senza aver visto, grazie appunto alla testimonianza di quanti però possono dire di aver mangiato con lui dopo la sua resurrezione.

 

Questi discepoli hanno visto molti altri segni operati da Gesù rispetto a quanto hanno raccontato a noi, e questo perché diventassero testimoni fedeli e forti. Ma ora, attraverso loro e attraverso i loro scritti, a noi non mancano segni e motivi sufficienti per credere “che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, (abbiamo) la vita nel suo nome”. Viene da chiedersi quali sono i segni che siamo capaci di cogliere e di offrire per dischiuderci alla fede. Perché è su questa linea che dovremmo porci un problema di evangelizzazione, prima che su un piano di ingegneria pastorale. Tutto è racchiuso nelle imprescindibili parole del mandato: ”Come il Padre ha mandato me io mando vo”, in continuità di azione!

 

È la continuità che troviamo confermata nel passo degli Atti degli apostoli: “Molti segni e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli”. È quella che verrà chiamata forma di vita apostolica come modello di chiesa ed a cui ogni epoca di riforma è tornata come punto di partenza: un modo tale di stare in pubblico e tra il popolo, grazie al quale “venivano aggiunti credenti al Signore, una moltitudine di uomini e di donne”. Anche qui è lecito chiedersi se la nostra continuità “apostolica” sia nella stessa linea e sulla stessa lunghezza d’onda o non sia piuttosto nella linea del pragmatismo ed efficientismo pastorale: della conservazione.

 

È la linea tracciata da Giovanni nostro “fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù” per la causa “della parola di Dio e della testimonianza di Gesù”. Solo in questa sintonia e continuità possiamo essere abilitati a scrivere alle sette chiese – alla chiesa tutta – quanto ci è dato di vedere e sperimentare: solo da questa esperienza vissuta possiamo parlare di una consultazione dal basso e della base. In ultima analisi è la ritrovata visione del Risorto – “la voce che parlava con me” – che ci rivolge parole che sono spirito e vita: ”Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi. Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito”

 

Sì, sono parole da far risuonare dentro di noi senza altre interferenze e senza dare ascolto ad altre voci, sia pure più allettanti. Solo allora possiamo scrivere e comunicare tra di noi e al mondo le cose viste e credute, “quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito”. Ci è detto su quali basi e a quali condizioni possiamo diventare intrinsecamente Popolo di Dio profetico. (ABS)


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