11 aprile 2021 -  II DOMENICA DI PASQUA o della Divina Misericordia (ANNO B)

 

Carl Heinrich Bloch: L’incredulità di Tommaso (1870 ca.)

 

PRIMA LETTURA (Atti degli Apostoli 4,32-35)

La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune.

Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore.

Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno.

 

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 117)


Rit. Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre.

 

Dica Israele:
«Il suo amore è per sempre».
Dica la casa di Aronne:
«Il suo amore è per sempre».
Dicano quelli che temono il Signore:
«Il suo amore è per sempre».

La destra del Signore si è innalzata,
la destra del Signore ha fatto prodezze.
Non morirò, ma resterò in vita
e annuncerò le opere del Signore.
Il Signore mi ha castigato duramente,
ma non mi ha consegnato alla morte.

La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
Questo è il giorno che ha fatto il Signore:
rallegriamoci in esso ed esultiamo!

 

 

SECONDA LETTURA (1 Giovanni 5,1-6)

Carissimi, chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato.

In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti. In questo infatti consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi.

Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede.

E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità.

 

VANGELO (Giovanni 20,19-31)

 

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!».

Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.

Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.



In altre parole…

 

Tradizionalmente, questa seconda domenica di Pasqua era detta “in Albis”, in quanto venivano smesse le vesti bianche indossate al momento del battesimo nella veglia pasquale. Voleva essere una impostazione di chiesa con al centro il battesimo e i battezzati. Dall’anno 2000 questa domenica è detta “della Divina Misericordia” in omaggio alla relativa devozione lanciata da  suor Faustina Kowalska, poi proclamata santa. Si passa da una prassi sacramentale ad una pratica devozionale, e questo  non  può non portare ad uno spostamento di mentalità, di spiritualità, di identità. E se una volta il cristiano comune era un “democristiano”, ora non è tornato ad essere il battezzato, ma sarà piuttosto un ciellino, un focolarino, un neocatecumenale, un Legionario di Cristo ecc…,   mentre la “coroncina della divina misericordia” diventerà in qualche modo il nuovo status symbol della pietà popolare odierna.

 

Niente da eccepire, ma che ne è del battesimo e cosa è veramente rappresentativo del cristiano agli occhi del mondo? Il battesimo è per lo più un fatto sociologico, una denominazione religiosa, materia per statistiche e sondaggisti, segno di affiliazione a qualche parrocchia, categoria giuridica di sottomissione ad un potere, e quasi mai motivo di dignità, riconoscimento di diritti e di doveri, richiamo di consapevolezza e di responsabilità, niente di qualificante e tanto meno indice di condizione teologale e valore teologico. Ci sarebbe già qui abbondante materia di riflessione “sinodale”, ma non impediamoci di tentare una maggiore comprensione della “inestimabile ricchezza del battesimo che ci ha purificati dello Spirito che ci ha rigenerati, del sangue che ci ha redenti”, come dice la preghiera Colletta della liturgia del giorno.

 

Queste parole ci riportano all’interno del mistero della misericordia, ma senza farne un motivo particolare di devozione a parte, semmai vivendolo nella sua concreta attuazione salvifica, di cui appunto il battesimo è la fonte, perché “se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio” (Gv 3,3). È l’evento di cui Giovanni ci parla nel prologo del suo vangelo, quando dice che a tutti quelli che hanno ricevuto la luce vera che illumina ogni uomo “ha dato il diritto di diventare figli di Dio, a quelli cioè che credono nel suo nome, i quali non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d'uomo, ma sono nati da Dio” (Gv 1,12-13). È semplicemente questa nascita che bisogna prevedere e desiderare, altrimenti rimaniamo impenetrabili alla grazia di Dio!

 

Quindi c’è questa nuova nascita, e non a caso il battesimo è chiamato anche “illuminazione”, un venire alla luce per essere “figli della luce”. Bisognerebbe che queste parole di verità avessero il loro spessore e significato umano in tutta la loro originalità come opera di Dio in noi, alla stessa maniera in cui è attiva nel Cristo Risorto, sapendo che “questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato” (Gv 6,29). Sbaglieremmo a credere o far credere che queste sono parole riservate a qualche esperto, quando invece sono per tutti e decisive per definire una nostra collocazione cristiana nel mondo, meno scontata, meno ideologica, meno confessionale, meno identitaria, meno generalista e appiattita, ma più vera e autentica nella sua irriducibilità. A che scopo proclamare la Parola di Dio, se non per coglierla nella sua sostanza e riconoscerci generati da lei?

 

Abbiamo di fatto a disposizione mille varianti dell’idea di “cristiano” quanto ai suoi modi di essere e di comportarsi, ma abbiamo perso di vista il modello base in quanto semplicemente battezzato, rinato, figlio di Dio, credente nel Cristo Gesù, per cui se da una parte egli è moneta pregiata per circuiti privilegiati e chiusi, dall’altra è come moneta svalutata e non spendibile. Essere battezzati si misura solo dall’esterno nella pratica religiosa, mentre dovrebbe risultare da una differenza quasi ontologica di cui prendere coscienza!

 

Alla radice della vita del cristiano ci riporta il passo della lettera di Giovanni: egli è colui che “è stato generato da Dio”, in quanto “crede che Gesù è il Cristo”, e di conseguenza ama come fratelli quanto sono stati generati da Dio. Il fondamento e la garanzia di amare i figli di Dio sta nel fatto di amare Dio e di osservare i suoi comandamenti, vincendo tutte le resistenze del mondo con la forza della fede. Dove il battesimo nell’acqua e nel sangue di Cristo è forza nella lotta contro il male, sostenuti dallo “Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità”.

 

Se questa è mitologia per alcuni o sono favole per altri, per chi arriva a credere è realtà vera di vita. Ma allora c’è da dire che alla fede si deve arrivare. E anche nella sua conclusione, il vangelo di Giovanni non si stanca di portarci a credere, di farci vedere come la fede arriva e nasce. Sì, c’è la visita del Risorto, che si presenta agli occhi dei discepoli ancora increduli con le sue piaghe per dare loro pace: perché facciano l’ultimo passo verso di lui accettandolo con gioia tra di loro come era presente prima. Al punto da ricevere da lui lo stesso mandato che egli aveva ricevuto dal Padre: di portare a loro volta altri alla stessa fede con la forza del suo Spirito, in modo che nel battesimo ricevano il perdono dei peccati e la sua stessa pace.

Il primo a cui rendono questo servizio di testimonianza è Tommaso, uno di loro assente in quel momento, il quale però non si rimette alle loro parole, così come del resto essi erano rimasti increduli alle parole delle donne e a quelle dei discepoli di Emmaus. Solo Tommaso però assurge a simbolo della comune incredulità (vedi immagine di Carl Heinrich Bloch) e diventa proverbialmente l’uomo della concretezza. Finché anche per lui non scocca l’ora di fidarsi e affidarsi al suo Signore e al suo Dio, non tanto perché mette il dito nelle piaghe, ma grazie alla sfida che gli lancia Gesù. Ciò che deve accadere anche per noi, sapendo però di poter contare sulla preghiera e sull’azione di Gesù stesso che ci viene incontro quando dice: “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me” (Gv 17,20). E per questo abbiamo anche i suoi “segni” e le Scritture a cui facciamo bene a fare attenzione, perché essi “sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome”. Perché di vita si tratta!

A quali conseguenze dovrebbe portare questa rinascita di vita con l’approdo alla fede, ce lo segnala il passo degli Atti degli Apostoli, dove si parla della moltitudine di coloro che erano diventati credenti grazie alla testimonianza che gli apostoli davano con forza della resurrezione del Signore Gesù: ad avere con lui e in lui un cuor solo e un’anima sola! E questo prima ancora che essere una cosa sola con Cristo e in Cristo prenda forma nella vita comunitaria che ne dovrebbe conseguire, appunto come “comunità di credenti” o chiesa. Il fatto è che abbiamo assolutizzato e idealizzato la comunità come valore a sé, e tutta la nostra preoccupazione è quella di tenerla in piedi a tutti i costi e di abbellirla in tutti i modi, invece di impegnarci a far nascere alla fede quanti dovrebbero darle vita e renderla feconda di nuovi figli, “come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale… per mezzo di Gesù Cristo” (1Pt 2,5).

Capisco che puntare sulle persone piuttosto che su rapporti formali comporterebbe quella “conversione pastorale” tanto invocata da Papa Francesco, ma che trova resistenze ed elusioni nelle inesauribili capacità di trasformismo che ci ritroviamo, soprattutto da parte di chi considera la fede e il battesimo come beni ereditati da gestire secondo canoni regolativi ma conservativi. E non invece come lotta e vittoria sul mondo! (ABS)


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