3 gennaio 2021 - II DOMENICA DOPO NATALE

 

Jacopo della Quercia: La Sapienza (1414-1418)

   

PRIMA LETTURA (Siracide 24,1-4.12-16)

La sapienza fa il proprio elogio,
in Dio trova il proprio vanto,
in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria.
Nell’assemblea dell’Altissimo apre la bocca,
dinanzi alle sue schiere proclama la sua gloria,
in mezzo al suo popolo viene esaltata,
nella santa assemblea viene ammirata,
nella moltitudine degli eletti trova la sua lode
e tra i benedetti è benedetta, mentre dice:
«Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine,
colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda
e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbe
e prendi eredità in Israele,
affonda le tue radici tra i miei eletti” .
Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato,
per tutta l’eternità non verrò meno.
Nella tenda santa davanti a lui ho officiato
e così mi sono stabilita in Sion.
Nella città che egli ama mi ha fatto abitare
e in Gerusalemme è il mio potere.
Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso,
nella porzione del Signore è la mia eredità,
nell’assemblea dei santi ho preso dimora».


SALMO RESPONSORIALE (Salmo 147)


Rit. Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi.

 

Celebra il Signore, Gerusalemme,
loda il tuo Dio, Sion,
perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,
in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli.

Egli mette pace nei tuoi confini
e ti sazia con fiore di frumento.
Manda sulla terra il suo messaggio:
la sua parola corre veloce.

Annuncia a Giacobbe la sua parola,
i suoi decreti e i suoi giudizi a Israele.
Così non ha fatto con nessun’altra nazione,
non ha fatto conoscere loro i suoi giudizi.

 

SECONDA LETTURA (Efesini 1,3-6.15-18)

Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d’amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.

Perciò anch’io [Paolo], avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi.

 

VANGELO (Giovanni 1,1-18)

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.


In altre parole…

 

La scultura di Jacopo della Quercia materializza la figura della “Sapienza” quasi come regina in trono, quale dovrebbe regnare come saggezza di vita, senso comune, buon senso, ponderazione, misura, e tutti quelli che sono i frutti della Spirito: e cioèamore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22). Ed è anche così che la sapienza personificata presenta se stessa nel libro del Siracide, quasi trait d’union tra Dio in cui “trova il proprio vanto”, e il popolo in cui manifesta e “proclama la sua gloria”.

 

Ci dice che la sua origine è presso il creatore dell’universo ed è destinata a dimorare tra gli uomini, appunto come via e modalità di comunicazione tra ciò che è fin da principio e la “città che egli ama” in cui è fatta abitare, Gerusalemme. Quindi, parlare di sapienza altro non è che considerare quanto passa tra Dio e l’uomo, l’umanizzazione di quello Spirito creatore che riempie l’universo ma che però vuole stabilirsi nel Popolo da lui creato: niente di riservato e inaccessibile, ma quanto di più disponibile a tutti.

 

Se questa dimensione di sapienza è venuta meno nel creato e tra gli uomini, essa è recuperata e ridonata nella nuova creazione dal “Verbo fatto carne”, dell’intima Parola di Dio che risuona nel mondo. Il prologo di Giovanni, nuovamente riproposto, sta a dirci proprio questo: la riacquisizione dell’immagine e somiglianza di Dio da parte dell’uomo, ad inveramento di quanto si dice in Proverbi 2,10: “Perché la saggezza ti entrerà nel cuore, la scienza sarà la delizia dell'anima tua”. Fino a sentire da san Paolo che “voi siete in Cristo Gesù, che da Dio è stato fatto per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione” (1Cor 1,30). È il significato nuovo della nostra esistenza cristiana, non come fatto accessorio o applicazione esterna, ma come rigenerazione intrinseca che ci vuole consapevoli e partecipi nel credere, prima che come buoni cristiani nella pratica.

 

A tanto dovrebbe portarci il mistero dell’Incarnazione che stiamo celebrando in questo tempo natalizio: ad un risanamento della creazione e ad orizzonti di vita e di storia inediti, in quanto “in lui era la vita e la vita era la luce degli uomini… la luce vera, quella che illumina ogni uomo”. Tutto sta a vedere quanto teniamo conto di questo cambiamento radicale in atto e come ci disponiamo di fronte ad un evento del tutto impensabile. Gli atteggiamenti personali possono essere i più diversi, ma fondamentalmente c’è da rivivere tutti l’esperienza di cui ci parla Giovanni: “Noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità”. Questa chance non possiamo negarla a nessuno col pretesto della semplicità, che è spesso ripetizione di parole comprensibili solo per assuefazione.

 

È dalla pienezza del Verbo di Dio che noi attingiamo grazia su grazia e rinnoviamo il passaggio dalla legge alla grazia e alla verità, che non sono astrazioni, ma sono il midollo della vita di fede, se è questo che ci preme. È strano come in genere si esorti alla giustizia, alla pace, alla fraternità, che ne dovrebbero essere i frutti, e si esiti a parlare di grazia e verità della Parola di Dio, così come si ignora la sapienza, come se fossero un lusso o zone riservate. E così si dimentica che è qui la struttura portante della vita in Cristo, prima ancora di moralismi, pietismi, celebrazionismi di vario genere. Se la sostituzione nel Gloria di “uomini di buona volontà” con “uomini amati da Dio” non favorisce almeno questo cambiamento di prospettiva, rimane davvero un fatto nominale che disorienta e basta!

 

Non è proprio questa sapienza o presa di coscienza che difetta alla pratica e alla testimonianza della fede oggi, ridotta a sentimento religioso di massa?  Sembra che la chiesa sia la prima a dimenticare quello che prega, quando ad esempio nelle classiche antifone “O” dell’avvento implora: “O Sapienza, che uscisti dalla bocca dell’Altissimo, ti estendi da un estremo all'altro estremo e tutto disponi con forza e dolcezza: vieni a insegnarci la via della saggezza”. Quello che  è detto in forma di preghiera non può rimanere confinato come inno liturgico, senza cogliere la ricchezza di grazia e di verità che queste parole trasmettono.

 

Forse si evita di richiamarsi alla sapienza, perché implicherebbe libertà di giudizio e assunzione di corresponsabilità a cui non siamo educati. Peraltro, le parole di Paolo agli efesini portano nella stessa direzione, al tempo stesso in cui sono una risposta a questa istanza: ci riportano alle profondità del “disegno d’amore della sua volontà”, che inquadra tutto il creato e l’intera nostra esistenza, in quanto innestati in Cristo come tralci nella vite.

 

Per dirci che esse segnano e definiscono la nostra esistenza di credenti nel Signore Gesù e nell’amore verso tutti i santi, motivo per Paolo di rendimento di grazie, ma anche di ricordo e di preghiera per tutti. A quale scopo?  Ripetiamoci le sue stesse parole, che vanno tenute presenti nel loro valore rivelativo di verità: “Affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi”. Possiamo fermarci  un attimo a memorizzare questo messaggio?

 

Non è questa la benedizione spirituale che riceviamo nei cieli in Cristo? Non è a questo che dovrebbe portarci “uno spirito di sapienza e di rivelazione” che anima, orienta e guida il Popolo di Dio. O comunque quel Popolo di Dio in cui la sapienza desidera risiedere, ed a cui sembra invece difettare come sensus fidei e come modo di sentire e di porsi tra gli uomini. Che è chiamato ad essere sale di sapienza per il mondo, nel senso in cui lo è il Verbo fatto carne: quella sapienza che è la dimensione deficitaria della cultura imperante, che guarda al presente, all’immediato, alla realizzazione. Ma anche qui, quale preoccupazione c’è nella pastorale corrente a fare della chiesa una riserva di cultura e di visione del mondo, della vita e della storia?

 

Volendo in qualche modo orientarsi in questo senso, non è questione di crearsi un proprio mondo interiore avulso, ma di dare la luce giusta a tutte le cose. E se davvero vogliamo dare un nostro contributo alla necessaria maturazione, c’è da passare da un cristianesimo realizzato ad un cristianesimo profetico, da una chiesa dottrinaria ad una chiesa evangelica, da una fede dogmatica ad una fede via, vita, verità. A questo deve portare il contatto con la Parola di Dio fino a traboccare. Fino a poter ripetere con Giovanni: “Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia”. Che ci sia dato, e che il 2021 sia un anno di grazia per tutti! (ABS)


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