5 gennaio 2020 -  II DOMENICA DOPO NATALE (ANNO A)

 

 

Filippo Lippi: Adorazione del Bambino di Palazzo Medici (1459), part.

 

 

PRIMA LETTURA (Siracide 24,1-4.12-16)


La sapienza fa il proprio elogio,
in Dio trova il proprio vanto,
in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria.
Nell’assemblea dell’Altissimo apre la bocca,
dinanzi alle sue schiere proclama la sua gloria,
in mezzo al suo popolo viene esaltata,
nella santa assemblea viene ammirata,
nella moltitudine degli eletti trova la sua lode
e tra i benedetti è benedetta, mentre dice:
«Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine,
colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda
e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbe
e prendi eredità in Israele,
affonda le tue radici tra i miei eletti” .
Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato,
per tutta l’eternità non verrò meno.
Nella tenda santa davanti a lui ho officiato
e così mi sono stabilita in Sion.
Nella città che egli ama mi ha fatto abitare
e in Gerusalemme è il mio potere.
Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso,
nella porzione del Signore è la mia eredità,
nell’assemblea dei santi ho preso dimora».



SALMO RESPONSORIALE (Salmo 147)

Rit. Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi.

 

Celebra il Signore, Gerusalemme,
loda il tuo Dio, Sion,
perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,
in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli.

Egli mette pace nei tuoi confini
e ti sazia con fiore di frumento.
Manda sulla terra il suo messaggio:
la sua parola corre veloce.

Annuncia a Giacobbe la sua parola,
i suoi decreti e i suoi giudizi a Israele.
Così non ha fatto con nessun’altra nazione,
non ha fatto conoscere loro i suoi giudizi.

 

 

SECONDA LETTURA (Efesìni 1,3-6.15-18)

Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d’amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.

Perciò anch’io [Paolo], avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi.



VANGELO (Giovanni 1,1-18)

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.



In altre parole

 

 

Dopo aver visitato tanti presepi ed aver provato tante emozioni “natalizie”, eccoci dunque riportati dalle letture di questa domenica al “mistero nascosto nei secoli”: “Cristo in noi, speranza della gloria”. La tentazione è di leggerle e accantonarle, per tornare a Betlemme, ai pastori e ai Magi che accendono l’immaginazione collettiva e fanno pensare di averne la piena comprensione. Ma quando e come, in realtà, la verità di simili cose arriva ad abitare dentro ognuno di noi per diventare luce di vita? L’altra tentazione è quella di lasciarsi andare a voli di parole e di spiegazioni, pensando che si tratta di teorizzazioni per pochi eletti. Si dimentica facilmente che le parole a noi rivolte e ascoltate sono “spirito e vita”, nel senso che sono efficaci e producono ciò che dicono, fanno verità!

 

Allora, mettendosi in ascolto di queste letture, voglio dire subito che esse dicono quanto ci è già dato di vivere e di cui siamo resi consapevoli per esserne più pienamente partecipi. Tanto da poterci rivolgere tra noi con tutta verità le parole che Paolo indirizza agli Efesini: “Perciò anch’io, avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi”.  Ricordarsi nelle preghiere gli uni per gli altri perché tutto questo avvenga!

 

Se questa comunicazione di fede e di amore nella preghiera reciproca è detta “teologale” – come condividere aria e luce è vita umana -, è perché ad operare è il Dio del Signore nostro Gesù Cristo e Padre della gloria; ed è perché lo spirito di sapienza e di rivelazione ci porti ad una più profonda conoscenza del suo mistero e ci faccia comprendere la speranza e il tesoro di gloria a cui siamo chiamati. Potremmo ripeterci e augurarci tutti le stesse cose, nella convinzione che è questa ed è qui la sostanza della vita cristiana, per quanto diversamente e socialmente intesa. Perché ce n’è bisogno! A partire da qui, senza riduzionismi e senza facili buonismi, siamo in grado di renderci conto – anche se non di capire a fondo – da dove nasce e dove porta tutto questo, e cioè la nostra reale comunione di vita con Dio.

 

È come tornare alla sorgente e sentirsi spinti anche noi a dire: benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, fonte di ogni benedizione, dal quale siamo ben-voluti prima della creazione del mondo come figli adottivi mediante Gesù Cristo, nello splendore o gloria della sua grazia. Quando diciamo “Padre nostro che sei nei cieli” è a questo che dovremmo pensare, al disegno di amore della sua volontà. Non dicono di noi queste parole e del nostro rapporto col Padre?  Gesù non si è rallegrato e non ha ringraziato lui stesso il Padre per aver dato ai suoi piccoli la sua sapienza, questo sapere e sentire nuovo secondo i sentimenti e il pensiero di Cristo? Non si dice che lui è nostra sapienza, la nostra luce e guida interiore che ci guida alla verità tutta intera? Ecco perché queste parole parlano a noi e parlano di noi.

 

Nessuno può negare a nessuno la capacità e la gioia di ascoltare la voce della sapienza quando ci parla di se stessa che esce da Dio per proclamare in mezzo al suo popolo la sua gloria e tra i benedetti è benedetta. E non dobbiamo impedire a noi stessi di godere della sua presenza e della sua azione tra gli eletti, perché ha ricevuto ordine dal creatore dell’universo di piantare la sua tenda tra noi. In questo senso osiamo dire che “la voce del popolo è la voce di Dio” e parliamo del “sensus fidei” del Popolo di Dio che lo orienta alla verità e lo induce alla profezia. Abbiamo dentro di noi potenzialità inespresse e risorse inutilizzate!

 

Se l’evangelista Giovanni, nel prologo del suo vangelo, ha pronunciamenti apparentemente teorici è semplicemente perché vuole così stringere in poche parole tutta la sua esperienza, condivisione e convivenza con colui che era Parola di Dio vivente tra gli uomini, e così darci subito il senso compiuto del suo vangelo: la chiave con cui leggere tutta la sua narrazione, peraltro minima come ci dice lui stesso. Quasi a dirci che quanto egli non ha scritto è quello che deve essere sperimentato ed esplorato anche da noi attraverso quella Parola, perché “Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato”.

 

A partire da questa percezione e matura consapevolezza viene spontaneo riconoscere che “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini”, e che “veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo”. Naturalmente non è da pensare che tutto questo avvenga per automatismi vari, se non c’è un’accoglienza e partecipazione viva, perché la vita e la luce si possono accettare così come rifiutare. Ma sappiamo che “a quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati”.

 

È precisamente a tal fine che “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità”: ciò di cui appunto ci fa dono. Possiamo capire meglio di che si tratta, se teniamo presente che grazie e verità prendono il posto della Legge di Mosè per quanto riguarda la via della salvezza. Così come è illuminante il ruolo e la testimonianza del Precursore Giovanni, per avere una percezione meno superficiale di quello che va sotto il nome di “Incarnazione”: è sì l’Emanuele, il Dio con noi, ma fino alla identificazione personale Dio-uomo (unione teandrica), anche se nella distinzione e nella immutabilità di natura.

 

Certamente arrivare ad affermare che “il Verbo si fece carne” è quanto di più imprevisto e imprevedibile ci possa essere, ed anche di quanto più incredibile si possa pensare, tanto è vero che è questo il banco di prova del credere in Cristo e lo specifico della fede cristiana, quella che induce addirittura all’adorazione di un bambino e a riconoscerlo Figlio dell’Altissimo. Il rischio rimane sempre quello di ridurre questo “mistero” – nel senso pieno di autonoma decisione, opera e rivelazione di Dio - a mito, a simbolo, a paradigma, a parabola, a modello ed esempio di comportamento spirituale ed umanitario! Il mistero è come svuotato della sua pienezza ed è affidato a sistemi celebrativi tanto suggestivi quanto fuori del mondo!

 

Qui si può continuare o cominciare a meditare in profondità più che in estensione, per cogliere la nascita della luce dalle tenebre - “la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta” – ed anche per ritrovare la dimensione cosmica ed escatologica insieme di questo mistero unico e irripetibile, prima di restringerlo e dissolverlo in atto confessionale o semplicemente celebrativo. Notavo il fatto – se può valere – che l’affermazione forte – “e il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” – si presenta nel testo di Giovanni quasi a conclusione e dimostrazione dell’attività del Verbo di Dio nella creazione e anche in quanti lo hanno accolto e quindi sono generati da Dio come figli! Essere “figli di Dio” è solo un altro modo di dire in generale senza più sostanza?

 

Permettetemi un’altra annotazione di circostanza in tema di uscita dalla cristianità, a cui si è fatto riferimento. Per dire che se c’è qualcuno che ha rilanciato e riportato al centro della storia e della vita della chiesa il “mistero della incarnazione” è il P. M.Domique Chenu, fino a parlare di incarnazione continua e aperta. È ciò che lo ha portato a relativizzare l’era costantiniana e di conseguenza la forma di cristianità assunta dalla chiesa, e quindi ad annunciarne la fine. “Uscire dalla cristianità” non vuol dire dunque per la chiesa soltanto cambiare gattopardescamente pelle, ma rigenerarsi nel tempo e nella storia grazie alla pressione interna del vangelo che la abita e grazie al fatto che “la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo”.  

 

Se da una parte riusciamo a non lasciar cadere nel vuoto queste letture, dall’altra non c’è da presumere di averne esaurito la comprensione o di aver portato a tutte le conseguenze un fatto del genere. C’è solo da far crescere in noi e tra di noi la Parola di Dio fatta carne. (ABS)


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