12 marzo 2023 - III DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO A)

 

Pietro Benvenuti: Gesù e la Samaritana al pozzo (1807)

Montale (PT), Chiesa di San Giovanni Evangelista

 

PRIMA LETTURA (Esodo 17,3-7)

In quei giorni, il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua; il popolo mormorò contro Mosè e disse: «Perché ci hai fatto salire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?».
Allora Mosè gridò al Signore, dicendo: «Che cosa farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno!».

Il Signore disse a Mosè: «Passa davanti al popolo e prendi con te alcuni anziani d’Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e va’! Ecco, io starò davanti a te là sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà».

Mosè fece così, sotto gli occhi degli anziani d’Israele. E chiamò quel luogo Massa e Merìba, a causa della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il Signore, dicendo: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?».

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 94)

Rit. Ascoltate oggi la voce del Signore: non indurite il vostro cuore.

Venite, cantiamo al Signore,
acclamiamo la roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia.

Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il nostro Dio
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce.

Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova
pur avendo visto le mie opere».

 

SECONDA LETTURA (Romani 5,1-2.5-8)

Fratelli, giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio.

La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.

Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.

 

VANGELO (Giovanni 4,5-42)

In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani.

Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?».
Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».

Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».

In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui.

Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».

Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

 

 

In altre parole…

 

Se vogliamo stare ai “segni dei tempi” senza troppe circonlocuzioni, è giocoforza riconoscere – anche se ancora non ci abbiamo fatto mente locale – che il cambiamento d’epoca di cui si parla ci porta verso un’epoca di migrazioni come fatto strutturale e non come semplice variabile: non semplice cambiamento culturale interno a mondi già formati, ma movimento verso assetti diversi  dell’intera ecumene. Le ripercussioni interne al mondo della chiesa e della fede sono inevitabili e ci portano ad un ascolto ancora più ampio della Parola di Dio che non passa, pur nel variare delle scene di questo mondo.  

 

Quel popolo che soffre la sete nel deserto non è diverso da tanti popoli e tanta parte dell’umanità che anche oggi patiscono questa sete, sete non solo per mancanza di acqua, ma sete di giustizia, di umana dignità, di realizzazione di un nuovo ordine di cose nel mondo, che sembra reggersi nella forma attuale solo in forza di assurdi e disumani ordigni bellici, il vero peccato originale a cui ci siamo assuefatti: sete di liberazione e di salvezza, sete di speranza in senso reale e non solo ideale. Ciò che ci risparmia rimpianti e nostalgie di schiavitù già sofferte. Sta di fatto che quando una liberazione avvenuta deve diventare libertà propria pagata a caro prezzo, la tentazione è un’inversione di rotta.

 

E allora il peso si scarica tutto sulle spalle di chi è stato artefice o strumento di questa liberazione, e anche quando questa avviene per iniziativa e comando di Dio, è ancora a lui che si deve ricorrere e ancora una volta prestare fede con l’obbedienza. Cosa che Mosè si appresta a fare, fino ad ottenere acqua dalla roccia e a sfidare il popolo ribelle e malfidato con parole che ci chiamano in causa nella nostra responsabilità di essere  guide nel cammino di fede di comunità, di chiese, di popoli, di tanta  umanità. È la responsabilità del vangelo portato ai poveri e annunciato per la salvezza di chiunque crede, e non come panacea consolatoria del momento.

 

È esattamente quello che riscontriamo nell’incontro di Gesù con la donna Samaritana, dove il dialogo è a due e quasi improvvisato, ma il messaggio è di portata universale. Tommaso da Celano, nel suo Dies irae, evoca così questo incontro, come fosse anche il nostro: “Cercandomi ti sedesti stanco, ci hai redento con il supplizio della Croce: che tanto sforzo non sia vano!”. Tutto nasce dal fatto di un Gesù che, stanco del suo camminare e assetato per la calura,  chiede da bere a questa donna di Samaria, che viene ad attingere acqua al pozzo di Giacobbe: donna e per di più malvista dai Giudei in quanto samaritana. Premesse non favorevoli per poter intavolare un colloquio importante.

 

Superati diffidenza e pregiudizi iniziali, il dialogo entra nel vivo e Gesù osa avanzare la sua offerta come “dono di Dio”, in quanto potrebbe soddisfare lui la sete inconfessata di quella donna, che viene invitata a passare dal senso materiale del discorso a quello simbolico, riferibile però a Gesù stesso che parla con lei: è lui la realtà di quello che dice alla donna quanto alla sete e al bere. L’acqua che egli darà e che scaturisce da lui è per la sete di eternità e diventerà a sua volta sorgente in chi la berrà: “Nell'ultimo giorno, il giorno più solenne della festa, Gesù stando in piedi esclamò: «Se qualcuno ha sete, venga a me e beva. Chi crede in me, come ha detto la Scrittura, fiumi d'acqua viva sgorgheranno dal suo seno»” (Gv 7,37-38). È come l’acqua che sgorga dalla roccia nel deserto: “Tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà”! Siamo consapevoli e teniamo conto di questa promessa?

 

Ma il discorso diventa ancora più personale, per passare poi sul piano religioso di confronto tra fedi e tradizioni contrastanti, sulla base di luoghi e di culti diversi. Gesù non si sottrae agli interrogativi della donna, ma sembra cogliere la palla al balzo per fare giustizia di tutte le divergenze religiose interne ed esterne, dicendo una volta per sempre che non sono le condizioni esterne – anche le più religiose e le più sacre – a qualificare i credenti in Dio. Infatti, “viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità”.  Spesso si sentono citare queste parole con un senso di affrancamento e di semplificazione, ed è così; ma non per questo tutto è più facile o meno impegnativo!

 

Il discorso è portato dalla donna sul Messia venturo, che chiarirà ogni cosa. Quando l’incontro arriva ad un esito sconcertante con la dichiarazione di Gesù ad una donna di Samaria: questo Messia “Sono io, che parlo con te”. Una donna di cui non conosciamo neanche il nome, di cui sappiamo che era di facili costumi, ma che rimane per sempre e per tutti modello di chi continua ad interrogarsi “se sia lui il Cristo” e induce ancora molti a credere in lui, in un momento intenso di comunicazione e di rivelazione. Quei molti che, grazie alla testimonianza della donna, si fanno a loro volta testimoni della loro risposta di fede a Cristo, predispongono anche noi ad un salto di qualità del nostro credere: “Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo”. È qui che personalmente dovremmo poter arrivare!

 

Tutto questo però non impedisce il disappunto, il velato sospetto e quasi lo scandalo dei discepoli, quando si ricongiungono a Gesù, e forse è stato un bene che essi non ci fossero prima a fare da intralcio al dialogo che c’era stato con una donna. Essi si guardano bene dal chiedere chiarimenti, ma non esitano a riportare sul piano materiale la preoccupazione, questa volta sul mangiare e sul cibo, ricevendo però da Gesù le sue precisazioni: e se prima a proposito di sete e del bere ha avuto modo di presentarsi come acqua viva per la vita eterna, ora a proposito del mangiare ci fa sapere che cibo per lui “è fare la volontà di colui che (lo) ha mandato e compiere la sua opera”. Siamo sempre su registri diversi, e portarsi sul suo piano è quello che via via cerca di ottenere: che è il piano della fede come realtà di mistero e di rivelazione con cui immedesimarsi.

 

È la fede come “giustificazione”, e cioè come “pace con Dio”, che trova la sua personificazione in Cristo “nostra pace”, e mediante la quale abbiamo accesso alla grazia nella quale ci troviamo, saldi nella speranza perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori. È questa la condizione nuova in cui siamo messi ed in cui muoverci: tutte cose che sappiamo e che ci diciamo, ma che non arrivano a strutturare la nostra mentalità e la nostra esistenza di credenti, troppo decentrata su tante cose non necessarie di cui ci preoccupiamo. Bisognerebbe tornare ad una fede  della chiesa di cui sempre più il Cristo sia artefice e centro. Forse potremmo sentirci ripetere: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere!, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. (ABS)


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