7 marzo 2021 -   III DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO B)
 

 

Rembrandt: Mosè con le tavole della legge (1659)

 

PRIMA LETTURA (Esodo 20,1-17)

 

In quei giorni, Dio pronunciò tutte queste parole: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile:

Non avrai altri dèi di fronte a me.

Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.

Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano.

Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato.

Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà.

Non ucciderai.

Non commetterai adulterio.

Non ruberai.

Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo.

Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 18)


Rit. Signore, tu hai parole di vita eterna.

 

La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice.

I precetti del Signore sono retti,
fanno gioire il cuore;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi.

Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti.

Più preziosi dell’oro,
di molto oro fino,
più dolci del miele
e di un favo stillante.

 

SECONDA LETTURA (1Corinzi 1,22-25)


Fratelli, mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio.

Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.

 

VANGELO (Giovanni 2,13-25)

 

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».

Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?».

Ma egli parlava del tempio del suo corpo.

Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.



In altre parole…

 

Sentiamoci in marcia verso la Pasqua, non solo in senso simbolico o come scadenza liturgica, ma nella realtà della vita in senso storico e nella verità della fede in senso escatologico: dobbiamo pensare ad una liberazione dall’epidemia in atto, come dai serpenti velenosi di cui si narra in Numeri 21,6-7; ma insieme alla vittoria sul mondo e sulla morte di Cristo Signore. Dovrebbero risuonarci dentro queste precise parole: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile”.

 

Il Signore che si fa nostro Dio dice a tutti come camminare perché egli ci rimanga accanto, sapendo che è  un Dio geloso che non vuole infedeltà e tradimenti idolatrici, non vuole vedersi ridotto a misero idolo, ad amuleto, a tappabuchi di comodo. Ma vuole evitare anche a noi di diventare schiavi degli elementi e delle cose e degni di lui. Con le Tavole della Legge o Decalogo ci insegna il rapporto giusto da tenere verso di lui e verso il prossimo, a cominciare dal padre e dalla madre, nel rispetto della loro dignità e dei loro beni. Il comandamento principe per tutti sembra essere quello di non spadroneggiare nei confronti di Dio degli altri e delle cose!

 

L’immagine di “Mosé con le Tavole della legge” lascia pensare a quando i Comandamenti caratterizzavano la coscienza cristiana e sociale come voce di Dio per l’umanità, almeno come riferimento superiore se non come osservanza. Ora sembra che la coscienza sia legge a se stessa e possa fare tranquillamente a meno di riferirsi a qualche voce dall’alto; d’altra parte, abbiamo una coscienza religiosa che ritiene di essere più in là e si rifà direttamente al comandamento dell’amore, dimenticando che se questo porta a compimento la Legge e i profeti è per dare pienezza, non per annullare il Decalogo. Pur riconoscendo il primato dell’amore, di fatto siamo dei “senza legge”, privi di quel “timor di Dio” che è a fondamento  di ogni giustizia: ci ritroviamo incapaci di rapportarci ad un Dio reale che ci riporti alla nostra giusta misura di creature. Certo, se il Nome di Dio non dice più nulla o è ridotto a formula, è come nominarlo invano o vanificarlo; se santificare le feste è solo un “precetto della Chiesa”, alla fine decade come tutto il resto dell’apparato religioso, e Dio diventa appannaggio di coscienze isolate che si danno appuntamento in qualche “tempio” come osservanza esteriore.

 

È sorprendente come Giovanni, subito dopo averci narrato le Nozze di Cana, ci fa ritrovare Gesù nei giorni della Pasqua al Tempio di Gerusalemme, ma in veste di fustigatore delle usanze e dei commerci religiosi che vi si praticavano. È questa la presentazione pubblica che egli fa di lui, così come Matteo lo presenta sul monte delle Beatitudini, Luca nella sinagoga di Nazaret, Marco nel battesimo del Giordano. La prospettiva di fondo che ci offre è la Pasqua, che si compirà pienamente col mistero della morte e resurrezione di Cristo, ma che intanto si annuncia come nuovo Tempio di Dio.

Se a Cana Gesù “manifestò la sua gloria (2,11), col suo intervento a Gerusalemme egli ci parla del “tempio del suo corpo”, così come ricordano i discepoli dopo che egli è “risuscitato dai morti”, e come è testimoniato dal fatto che al momento in cui egli rese lo spirito, “la cortina del tempio si squarciò in due, da cima a fondo“ (Mc, 15,38). Un passaggio reale era in atto e il mistero della Pasqua era nelle cose e nei fatti. Se vogliamo cogliere il significato di questo momento, forse è nel fatto che lo zelo della casa del Padre divora Gesù, e da luogo di mercato e spelonca di ladri deve tornare ad essere “casa di preghiera per tutte le genti" (Mc 11,17).

E questo avviene “poiché la legge è stata data per mezzo di Mosè; la grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesù Cristo” (Gv 1,17). Sappiamo che “la legge dà soltanto la conoscenza del peccato” (Rm 3,20), ma non giustifica e non salva: non fa di noi un tempio e una casa di preghiera o di intima unione con Dio, mentre la grazia e la verità ci rendono adoratori del Padre non su questo o quel monte, ma nello Spirito che abita in noi, resi a nostra volta “tempio di Dio” (cfr. 1Cor 3,16).

Ci viene detto che si va verso la Pasqua attraverso una trasformazione del nostro culto: da un mercanteggiare con Dio all’adorazione del Padre in spirito e verità. Se perciò dobbiamo intraprendere un cammino sinodale e prendere sul serio la invocata “conversione pastorale”, non possiamo non prendere coscienza che un cambiamento reale deve cominciare dal “tempio”, dalle nostre liturgie e celebrazioni, dalle nostre eucarestie, perché diventino luogo di fede.

A ben guardare, infatti, è sui bastioni della prassi liturgica consolidata che si infrangono tutte le ondate di rinnovamento e di riforma, nonostante che modifiche formali e rituali in questo campo siano all’ordine del giorno, sostituendo abitudine ad abitudine. Ed è su questo fronte che un intervento serio e costante sarebbe necessario, per una rieducazione del credere. Ci vorrebbe insomma la stessa determinazione che ha avuto Gesù, quando ha fatto “una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio”.

Questo suo gesto provoca la protesta dei Giudei, che però si limitano a chiedergli con quale autorità lo facesse, ricevendo però la risposta che sappiamo. Diversa la reazione della gente, che vedendo questi segni sembra credere in lui e rallegrarsi di questa rivoluzione che riportava le cose al posto giusto. Ma l’annotazione che Giovanni  ci offre è indicativa di come non abbandonarsi ai facili entusiasmi che accompagnano iniziative innovative, ma che svaniscono come nebbia al sole quando il gioco diventa duro: “Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo”. Questa consapevolezza certamente non gli mancava: “Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito” (Gv 6,64). Ma questo non gli ha impedito di andare avanti per la sua strada, insegnandoci a fare altrettanto!

Non a caso egli è segno di contraddizione, e forse sottovalutiamo il fatto che la chiesa è luogo di confronto e di scontro in Cristo, sorvoliamo facilmente sul fatto che conflitti e divergenze la abitano, senza volerlo riconoscere, cullandoci nei nostri equilibri precari. Rimane vero, insomma, che come fra i Giudei e i Greci c’è sempre chi chiede segni e chi cerca sapienza: chi si contenta di gratificazioni e di conferme mentre il punto centrale per tutti rimane Cristo crocifisso: è lì che prendono corpo e si sprigionano la potenza e la sapienza di Dio per quanti si lasciano attirare da lui senza troppi altri incentivi! Ma dov’è oggi una chiesa che privilegi la stoltezza di Dio e la debolezza di Dio?

Se quello che chiamiamo convenzionalmente “cammino pasquale” deve tradursi in “cammino sinodale” o sequela di Cristo, non si tratta di una marcia trionfale né di una sagra dell’unanimismo, ma di soffrire insieme lo scandalo della croce” (Gal 5,11)! (ABS)


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