15 marzo 2020 - III DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO A)

 

Duccio di Buoninsegna: Gesù e la Samaritana  (1308-1311)

 

 

 

PRIMA LETTURA (Esodo 17,3-7)

In quei giorni, il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua; il popolo mormorò contro Mosè e disse: «Perché ci hai fatto salire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?».
Allora Mosè gridò al Signore, dicendo: «Che cosa farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno!»

Il Signore disse a Mosè: «Passa davanti al popolo e prendi con te alcuni anziani d’Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e va’! Ecco, io starò davanti a te là sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà».

Mosè fece così, sotto gli occhi degli anziani d’Israele. E chiamò quel luogo Massa e Merìba, a causa della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il Signore, dicendo: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?».

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 94)

Rit. Ascoltate oggi la voce del Signore: non indurite il vostro cuore.

Venite, cantiamo al Signore,
acclamiamo la roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia.

Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il nostro Dio
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce.

Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova
pur avendo visto le mie opere».

 

SECONDA LETTURA (Romani 5,1-2.5-8)

Fratelli, giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio.

La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.

Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.

 

VANGELO (Giovanni 4,5-42)

In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani.

Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?».
Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».

Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».
In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui.

Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».
Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

 

 

In altre parole…

 

Gesù nel deserto, come abbiamo visto, ha voluto farci capire come vivere situazioni estreme di prova e di scelta, nelle quali inevitabilmente ci imbattiamo: spostando l’attenzione da noi stessi e dal nostro interesse, per portarla alla realtà del Regno di Dio e della sua giustizia, all’ascolto della sua Parola nella obbedienza ad essa. Nel racconto delle tentazioni, forse ha voluto ricordarci che nel deserto c’era stato già il Popolo di Dio con alterne vicende, fino a rimpiangere la schiavitù dell’Egitto e a chiedersi, mormorando e protestando: “Il Signore è in mezzo a noi sì o no?”. La domanda che non possiamo mancare di farci anche noi in questa quaresima di quarantene!

 

Al momento in cui ci riscopriamo unico genere umano e ritroviamo la consapevolezza di essere mortali - fatti di polvere per ritornare in polvere - è l’interrogativo più giusto che possiamo condividere. Sapendo però di non poter rimanere chiusi alla domanda e alla provocazione, per lasciare invece a Dio la possibilità di darci risposta, e da parte nostra essere pronti a coglierla. Certo, ci vuole sempre qualcuno - un Mosè - che vive questo dramma, qualcuno che si senta anche lui in pericolo e perfino esposto alla lapidazione, ma che trova la forza di mediare tra il popolo e il suo Dio, dando ascolto alla sua Parola al di là di ogni attesa miracolistica: qualcuno che presti a Dio la fede necessaria e che ci faccia passare dalla sua parte.

 

E allora, se la chiesa si riscopre e si vuole Popolo sacerdotale, non può non sprigionare tutta la sua forza di intercessione, offrendo se stessa e ritrovando una più attenta obbedienza della fede dentro le vicende e le prove del mondo: perché la mano di Dio si faccia sentire. Ci sarebbe da chiedersi come stiamo uscendo in quanto chiesa dalla situazione di epidemia che ci assale, quasi piaga d’Egitto o nuovi serpenti velenosi del deserto di cui leggiamo al capitolo 21 del libro dei Numeri: oltre ad attenersi alle disposizioni di arginamento del contagio e magari partecipare personalmente a catene rituali di preghiera, è anche necessario riprendere coscienza di essere nel mondo segno e strumento di salvezza - “sacramento” - per tutto il genere umano.

 

Ma salvezza solo per le opere e le prestazioni che siamo in grado di compiere, o salvezza anche nella speranza e per la potenza della fede, come intercessione e servizio sacerdotale? Anche la forzata sospensione di celebrazioni liturgiche rituali potrebbe aiutarci a far emergere questa dignità e prerogativa di un Popolo di Dio anello della nuova ed eterna Alleanza. Occasione drammatica ma propizia per un trasferimento di consapevolezza e di esercizio del “sacerdozio comune” rispetto a quello ministeriale, nel farsi interpreti della salvezza che viene dalla fede.

 

Di questa fede sofferta ce ne dà esempio Mosè, quando appunto nel deserto il popolo soffriva la sete e si ribellava e lui stesso era combattuto tra due fuochi. Ma soprattutto ce la suscita colui che è “autore e perfezionatore della fede” (Eb 12,2). E se nei vangeli sinottici Gesù sembra impegnato più che altro a portare i discepoli a credere in lui, nel vangelo di Giovanni egli sembra più interessato a provocare fede in persone estranee alla sua cerchia, come quando si incontra e si confronta con la donna Samaritana, così come aveva fatto precedentemente con Nicodemo e come farà successivamente col funzionario del re a Cafarnao.

 

Anche in questo caso si tratta di una sete, quella di un Gesù affaticato che si siede al bordo di un pozzo storico, dove l’acqua ci sarebbe, ma senza poterla attingere. Alla donna che arriva ad attingere per sue necessità egli dice quasi imperiosamente “Dammi da bere”: una richiesta senza mezzi termini, dettata però da un’altra sete ancora più cocente, e cioè il desiderio appassionato di dissetarci e di darci lui acqua viva che “zampilla per la vita eterna”. Ce lo fa capire quando nel tempo, “nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa, levatosi in piedi esclamò ad alta voce: Chi ha sete venga a me e beva” (Gv 7,37); quando sulla croce esce dal suo silenzio per gridare “Sitio-Ho sete”. Cosi come quando dirà “avevo sete e mi avete dato da bere”, e quando, in risposta alla invocazione dello Spirito e della sposa ripete: ”Chi ha sete venga; chi vuole attinga gratuitamente l'acqua della vita” (Ap 22,17).

 

È così che proprio chiedendo da bere, tenta di portare quella donna a riscoprire la sua stessa sete di amore e di Dio, proponendo se stesso come il “dono di Dio”: come acqua viva che toglie la sete in eterno. E questo lo fa in quanto giudeo, sorprendendo quella donna samaritana con la sua richiesta da “nemico” storico, e quindi abbattendo il muro di separazione che c’era tra i due popoli, fino a suscitare la meraviglia dei discepoli che lo trovano a parlare con una donna.  Caduto il muro della diffidenza e della incomunicabilità ed avendo creato un rapporto di fiducia, Gesù entra nel vivo dell’esistenza di quella donna, portata a chiedersi se per caso quell’uomo non sia un profeta.

 

Non è una donna sprovveduta e già questa ipotesi la induce a porre un altro problema e a far cadere un altro muro, quello della inimicizia religiosa: dove cioè si dovesse praticare la vera adorazione, in Gerusalemme o sul monte Garizim in Samaria. Buona occasione per Gesù di mettere a fuoco il punto più luminoso del suo vangelo: che a definire come e dove essere veri adoratori del Padre non sono né i luoghi né semplici disposizioni religiose umane, ma è lui stesso con la potenza del suo Spirito e nella sua verità.

 

Tutto il resto è accettabile e utile quanto si vuole, compresa la propria spiritualità e interiorità: ma in ultima analisi la salvezza è conoscere il dono di Dio e colui che lo comunica al mondo, non solo simbolicamente o ritualmente, ma come incontro personale a “tu per tu”. La donna intuisce che dietro le parole di quell’uomo strano ed estraneo si intravede la figura del Messia, che secondo lei deve venire a chiarire ogni cosa, che è già una confessione di fede. Gesù la sente pronta alla dichiarazione più sconcertante che si possa pensare, al punto che le dice: “Sono io, che parlo con te”, qualcosa di simile a quando chiama per nome “Maria” che lo cercava al sepolcro. E come la Maddalena verso gli apostoli, questa donna samaritana senza nome si fa apostola verso altri a cui va ad annunciare prontamente la sua storia, lasciando lì l’anfora dell’acqua attinta, passata però in secondo piano!

 

Proprio il ritorno dei discepoli, che erano andati in città per fare provviste, rischia di rompere l’incantesimo di questo momento di grazia per riportare tutto terra terra. Nell’immagine di Duccio Gesù sembra additare loro ad esempio la fede di quella donna che a sua volta sembra dire di aver trovato in quell’uomo il Messia; ma essi sono sospettosi e corrucciati, quasi fossero stati traditi, anche se non hanno il coraggio di fare parola di quanto avrebbero voluto chiedere: “Che cosa cerchi?”, o: “Di che cosa parli con lei?”. E per uscire d’imbarazzo non fanno altro che dire: “Rabbì, mangia”. Ma Gesù non si lascia distogliere dalla gioia di sentirsi “dissetato”, e cerca di portare anche loro alla stessa visione di fede e di grazia, questa volta riguardo al cibo, pur andando incontro all’ ironia dei suoi che dicono: “Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?”.

 

Per tutta risposta egli dichiara senza mezzi termini di quale cibo si nutre: fare la volontà di colui che lo ha mandato, e fa capire il motivo della gioia che sta vivendo e alla quale vorrebbe partecipassero anche i discepoli: “Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura… perché chi semina gioisca insieme a chi miete”. E se da una parte essi devono rendersi conto di quanto stava accadendo con quella donna ed i suoi correligionari, dall’altra essi stessi sono mandati a mietere ciò per cui non hanno faticato, in quanto “altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica”. Sono mandati ad essere “cooperatori della gioia”, assumendosi la fatica di arrivare alla fede insieme a quanti sono guidati dallo Spirito prima ancora di essere raggiunti dall’annuncio: “Perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo”.

 

È il traguardo e la condizione di cui ci parla san Paolo, in quanto, “giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio… perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato”. Ma tutto questo “per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo che, “mentre eravamo ancora peccatori, è morto per noi”. Che ci sia dato, come alla donna samaritana, di sentirci dire dal Salvatore: “Sono io che ti parlo”! E anche di imparare a condividere la gioia della sua salvezza mediante il vangelo! Bisognerebbe che queste parole non fossero più pioggia sul bagnato, ma irrigassero il terreno buono del nostro cuore perché porti frutto. E se un’auspicata “conversione pastorale” deve esserci, è proprio qui che deve avvenire con la partecipazione e il concorso di tutti. In quello spirito di avventura a cui il “dono di Dio” ci espone! (ABS)


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