26 aprile 2020 - III DOMENICA DI PASQUA (ANNO A)

 

Diego Velázquez: La cena di Emmaus (1618)

 

 

PRIMA LETTURA (Atti degli Apostoli 2,14.22-33)

[Nel giorno di Pentecoste,] Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò così: «Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nàzaret – uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua, come voi sapete bene, consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere. Dice infatti Davide a suo riguardo: “Contemplavo sempre il Signore innanzi a me; egli sta alla mia destra, perché io non vacilli. Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua, e anche la mia carne riposerà nella speranza, perché tu non abbandonerai la mia vita negli inferi né permetterai che il tuo Santo subisca la corruzione. Mi hai fatto conoscere le vie della vita, mi colmerai di gioia con la tua presenza”. Fratelli, mi sia lecito dirvi francamente, riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto e il suo sepolcro è ancora oggi fra noi. Ma poiché era profeta e sapeva che Dio gli aveva giurato solennemente di far sedere sul suo trono un suo discendente, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò: “questi non fu abbandonato negli inferi, né la sua carne subì la corruzione”.Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire».

 


SALMO RESPONSORIALE (Salmo 15)


Rit. Mostraci, Signore, il sentiero della vita.

 

Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
Ho detto al Signore: «Il mio Signore sei tu».
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita.

Benedico il Signore che mi ha dato consiglio;
anche di notte il mio animo mi istruisce.
Io pongo sempre davanti a me il Signore,
sta alla mia destra, non potrò vacillare.

Per questo gioisce il mio cuore
ed esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro,
perché non abbandonerai la mia vita negli inferi,
né lascerai che il tuo fedele veda la fossa.

Mi indicherai il sentiero della vita,
gioia piena alla tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra.

 

 

SECONDA LETTURA (Dalla prima lettera di Pietro 1,17-21)

Carissimi, se chiamate Padre colui che, senza fare preferenze, giudica ciascuno secondo le proprie opere, comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri.

Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia.

Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi; e voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio.

 

 

VANGELO (Luca 24,13-35)

Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.

Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».

Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.

Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro.

Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture

Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.



In altre parole…

 

Non saprei dire come mai quando si parla di cammino quaresimale sappiamo dare un contenuto personale, ecclesiale e sociale, e forse anche evangelico, a questa espressione, fino ad interessare il corpo e gli altri con il digiuno e l’elemosina.  Inoltre lo vediamo come un cammino finalizzato che guarda alla Pasqua. Se però si parla di cammino pasquale tutto rimane etereo ed impalpabile come qualcosa che ci sfugge: per lo più, e per pochi, viene da pensare ad un percorso liturgico, in attesa della Pentecoste, ma poi tutto rientra nell’ordinario. E l’esistenza cristiana torna ad essere quella delle pratiche e delle osservanze, e non diventa quella esistenza “teologale” che dovrebbe essere grazie appunto ad un cammino pasquale vissuto in spirito e verità. E cioè in viva comunione col Risorto come esperienza ed esercizio di fede, speranza e carità.

 

Di queste tre virtù si salva in qualche modo la carità, in quanto è generalmente intesa come generosità e amore verso il prossimo, più che come dono di sé di un Padre per noi e un nostro abbandono fiducioso di noi a lui. Di fatto, ne sia o meno consapevole, ogni comunità cristiana è fondata sulla carità ed è espressione dell’amore di Dio in Cristo. E come tale deve fare un cammino pasquale, che non può essere di sola conversione personale, ma propriamente ecclesiale. Se la carità ne è la sostanza, la fede ne è la radice e la speranza l’orientamento: tre dimensioni interconnesse che vanno vissute e sviluppate come esperienza comunitaria a testimonianza per il mondo. Ce ne dà conferma Paolo con queste parole: “Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo” (1Ts 1,2).

 

Se il cammino quaresimale è segnato dall’appello alla conversione per credere al vangelo, il cammino pasquale fa perno proprio sulla fede come accesso al Regno di Dio che viene e si fa presente ora nel Cristo Risorto: se la carità rimane il soggetto-chiesa (i vescovi “presiedono alla carità”), la speranza assicura una meta ultima o escatologica del cammino di fede. Quindi si tratta di entrare per questa porta stretta in comunicazione di vita e di sequela con colui che con Tommaso possiamo invocare come “Mio Signore e mio Dio”.

 

E prima di metterci in scia sulla Scrittura, ecco alcune parole che arrivano dopo le riflessioni della domenica precedente: “Se Tommaso non avesse visto avrebbe creduto? Forse sì, o forse no, visto che Cristo stesso gli offre prova tangibile della verità. È un dono la fede? Che dono è? Chi elargisce questo dono?  Siamo noi stessi che dobbiamo farci dono della fede se ne sentiamo l'esigenza? O si tratta di condividere l'insegnamento evangelico in un'ottica terrena? Spezzare il pane nelle case, prendere cibo con letizia e semplicità di cuore. Lodando Dio. Sì perché si sente comunque il bisogno di ringraziare chi ci fa un dono tanto prezioso. Insieme. In comunità. In comunione”.

 

Il richiamo allo “spezzare il pane” ci porta direttamente alla cena di Emmaus, al momento rivelativo e conclusivo di quel cammino di delusione e di abbandono, ma anche di rinascita e di ripartenza. Sembra che a Gesù interessi relativamente essere riconosciuto nell’aspetto come colui che è tornato in vita alla maniera di Lazzaro. Tant’è che affianca e fa strada con i due discepoli, senza che lo riconoscano, così come lo ignorano quando parla di sé attraverso le Scritture. Dal loro orizzonte mentale era escluso che egli fosse vivo, nonostante che alcune donne dicessero di averlo visto. A Gesù importa essere visto e riconosciuto nel suo mistero come risuscitato dal Padre e non come semplice sopravvissuto.

Nella mentalità corrente cristiana, in effetti, si sa, si dice e si confessa che egli è risorto, ma intendiamo tutto questo come promessa e garanzia di sopravvivenza dopo la morte, e non pensiamo neanche che si tratta di una nuova creazione, di un uomo nuovo, di un nuovo universo in cui addentrarsi per una esistenza del tutto inedita da inventare in questo mondo. Di questo vuole che si rendano conto i discepoli, e a questo mira tutta la strategia del Risorto in quelle che chiamiamo apparizioni, che in qualche modo sembrano ripetere la trasfigurazione del Tabor e dare compimento a quanto aveva detto: “Ancora un poco e non mi vedrete; un po' ancora e mi vedreteperché vado al Padre” (Gv 16,16-17). Insomma, da ora in poi, chi vuole stare con lui deve cambiare registro. E a tale scopo ci ha dato le sue indicazioni.

 

Cominciando dalla Maddalena, da cui non viene riconosciuto: lo scambia infatti per l’ortolano e viene invitata a non volerlo prendere come aveva già fatto bagnandogli i piedi di lacrime e asciugandoli con i suoi capelli: ora deve tener conto che egli è diretto al Padre e solo grazie alla sua piena glorificazione potrà essere afferrato con l’abbandono a lui nella fede. Ai discepoli nel cenacolo si presenta mostrando le sue piaghe, così come pretenderà Tommaso che faccia con lui per poter credere che il Risorto à il Crocifisso, in quanto il Padre lo ha innalzato alla sua destra: ed è allora che proclama la beatitudine di chi crede pur senza vedere, per dire che credere è un vedere col cuore, ma sempre un vedere!

 

Qualcosa di analogo succederà sul lago di Tiberiade con la pesca miracolosa. Quando i discepoli non si accorgono che a presentarsi era Gesù, e quando se ne rendono conto si astengono perfino dal chiederglielo. C’è insomma questo passaggio da fare per tutti: che una presenza visibile ma parziale diventi assenza in vista di una comunione di fede totale. Le cosiddette apparizioni o manifestazioni non sono le prove della resurrezione, ma circostanze che offrono i segni per un riconoscimento nuovo: tra i quali appunto lo “spezzare il pane”.

 

Ecco perché forse è più giusto parlare di sparizione che di apparizione: di una presenza non più visibile ma reale e totale nel cuore dei credenti. Certamente era successo anche dopo le altre apparizioni, ma quella di Emmaus è l’unica volta che si evidenzia il contrasto tra il fatto che ai discepoli si aprono gli occhi per riconoscerlo, per vederlo poi sottrarsi alla loro vista. Ad essi doveva bastare quanto aveva spiegato loro delle Scritture e quanto aveva detto di fare in sua memoria, appunto lo “spezzare il pane”, che diventa il segno importante ma non unico della presenza del Signore in mezzo a noi. A volte il culto dei segni ci fa dimenticare o sottovalutare il rapporto reale con lui. È quando i segni della fede, quelli che la provocano e che la esprimono,  prendono il posto della fede stessa.

 

Sulla base di segni e pratiche particolari si pensa che la fede sia qualcosa che si ha o non si ha, e si dimentica che essa è una relazione che deve nascere e deve essere coltivata a partire anche da noi, così come per l’amicizia. Inoltre c’è da dire che quando si parla di fede, non si tratta di pura esperienza interiore e privata: essa ha una dimensione ed espressione pubblica, e prima d’essere un fatto psicologico è un “principio storico” di salvezza, così come la Legge per Israele! È evento pubblico la crocifissione ed è pubblica la confessione di fede del centurione!

 

Si torna a dire che fede non è una categoria dello spirito ed operazione mentale, ma è lo stesso Dio vivente di Abramo e di Isacco, è il Regno di Dio che viene, ed in ultima analisi è il Cristo crocifisso e Risorto in cui e per cui tutto questo diventa realtà o verità nella  storia, secondo il linguaggio di Giovanni: “Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo” (Gv 1,17). Ha perciò poco senso ragionare di fede con frasi fatte e in modo generico; in senso cristiano lo si può e deve fare in rapporto a Cristo Signore. Se la fede è un dono, lo è in quanto lui è “autore e perfezionatore della fede” (Eb 12,2).

 

È significativo il fatto che nella sua prima uscita pubblica dopo la Pentecoste Pietro, dopo vari riferimenti alla Scrittura, si esprima con queste precise parole: “Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire”. Di questo annuncio siamo tutti ascoltatori, anche se non da parte di tutti scaturisce la decisione di aderire a Cristo, “uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni”.

 

Sempre Pietro, nella sua prima lettera, torna a ripeterci lo stesso annuncio a conferma che è questa la sostanza della fede: “Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi; e voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio”. Per opera sua, dunque, noi crediamo in Dio. E questo a prezzo del suo sangue prezioso, agnello senza difetti e senza macchia. Per cui possiamo dire “Padre nostro” e comportarci con timore di Dio nel tempo in cui viviamo quaggiù come stranieri. Tutto questo significa e ci consente la fede! E in questa luce, parole che sembrano incomprensibili diventano significative. (ABS)


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